Home Teatro Pulcinella morto e risorto, ovvero l’inferno terreno di Paschitto

Pulcinella morto e risorto, ovvero l’inferno terreno di Paschitto

In scena dal 21 al 23 dicembre al Teatro TRAM di Napoli Pulcinella morto e risorto opera originale di Alessandro Paschitto

Èandato in scena al Teatro TRAM di Napoli dal 21 al 23 dicembre Pulcinella morto e risorto, testo originale di Alessandro Paschitto, con lo stesso Paschitto, Mario Autore e Raimonda Meraviglia. 

Ora sappiamo tutti autoctoni e non quanto Napoli sia legata (a volte in maniera un po’ troppo stretta e asfissiante) alla maschera di Pulcinella, che della città incarna la parte più sentimentale, sfaticata, macchiettistica e fondamentalmente… vera. Perciò l’idea di andare a vedere l’ennesima messa in scena di un Pulcinella armato di mandolino che canta quanto è bello non far niente non mi attirava troppo – lo confesso – allo stesso tempo però l’esperienza mi ha insegnato che qui da noi per i teatri funziona un po’ come nei club berlinesi: se vai in quelli con grandi nomi in cartellone finirai per trovarti di fronte a caroselli patinati e spenti, mentre se entri in posti piccini, bui, con nomi poco noti assisterai a spettacoli che avranno ben valso qualche ora del tuo tempo. 

E così è stato anche per Pulcinella morto e risorto in cui Paschitto immagina l'(anti)eroe partenopeo (interpretato da Mario Autore) in un inferno pop che, diventato servo niente di meno del Diavolo in persona, si è finalmente liberato di tutte le oppressioni, i doveri e gli impegni che in vita lo angosciavano e conduce un’esistenza spensierata. Ma dato che nemmeno sottoterra si può stare senza far niente, Satana decide di rimandarlo sulla Terra condannandolo ad un inferno ben peggiore in cui Pulcinella dovrà affrontare tutti i doveri a cui si era sottratto con la morte: iscriversi all’università, tornare a vivere con i genitori e rincontrare Mariannina, la fidanzata che aveva lasciato sull’altare.

Ma se Pulcinella è un Dante all’inverso che invece di scendere ascende e al posto di indagare rifugge, al suo fianco non può non esserci il suo personalissimo Virgilio, Felice Sciosciammocca (Paschitto), maestro di calligrafia col blocco dello scrittore, che trova nella resurrezione dell’amico una storia da raccontare. 

Ma sia il ritorno sulla Terra, sia l’urgenza narrativa sono espedienti usati in Pulcinella morto e risortoper parlare della difficoltà di far fronte alle aspettative della società, cercando invano di resistere alle spinte continue di chi ti vorrebbe sistemato con un lavoro, una moglie e dei figli; completamente incurante di quali siano i tuoi desideri e quello che ti rende felice.

Ma il Pulcinella di Paschitto è ben lontano dall’arcinota maschera partenopea e privo del mandolino finisce con l’essere l’unico umano in mezzo a tanti burattini, figure volutamente stereotipate che si alternano sul palco mettendo in scena un goldoniano e post-moderno teatro del mondo. Dal carabiniere stupido che cerca di arrestarlo per aver rubato una chitarra, alla madre pronta a rinfacciargli le mancanze e i dispiaceri dati, fino ai dotti professori universitari per i quali è un numero di immatricolazione e poco più.

L’unica figura che riesce a uscire in alcuni momenti “dalla parte” è Mariannina, vittima dello stesso meccanismo e costretta ad abbandonare la sua vocazione di attrice perché arrivata a trent’anni non ha più tempo per i sogni e deve impegnarsi in qualcosa di concreto.

Riuscirà questo Pulcinella morto e risortoa rimanere fedele a se stesso e a non piegarsi o finirà col condurre la vita che gli altri hanno tracciato per lui? Questo non posso svelarlo, ma posso dirvi che l’arte dell’arraggiarsi rimane una dote tutta napoletana che anche il protagonista saprà sfruttare a suo vantaggio.

Da un punto di vista drammaturgico la storia si sviluppa in una narrazione veloce, fatta di sketch rapidi e condita di umorismo a volte farsesco e facilone, a volte estremamente ricercato; Pulcinella morto e risortosi muove su binari curvilinei che prendono il pubblico in contropiede e lo commuovono inaspettatamente nel bel mezzo di una risata che rimane strozzata in gola e deve attendere qualche scena per rispuntare ancora più fragorosa. 

Paschitto gioca abilmente con la lingua, piegandola e distendendola a suo piacimento, un po’ come la scenografia che parte da un blocco nero quadrato e cambia diventando un vulcano, una tavola, una cattedra, il tutto puntellato di oggetti rossi e dalle maschere bellissime ad opera di Martina D’Ascoli che gli attori indossano senza mai mostrarsi in volto (ad eccezion fatta per Felice Sciociamocca che, da narratore/guida, appare in scena così com’è, a viso scoperto).

Una chicca le musiche, perfetto specchio della Napoli pop dell’autore che sceglie come colonna sonora i Nu Guinea e i Fitness Forever, due gruppi che partono dal funk dei Napoli Centrale per sfociare nell’elettronica dei club dell’Est Europa.

Il tutto è accompagnato da una recitazione matura e consapevole, nonostante la giovane età degli attori e del regista, che in scena mantengono il ritmo e la forma senza perdere la sostanza, con una spontaneità che crea empatia in un pubblico disteso e divertito fin alle lacrime.

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