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Per fare il teatro che ho sognato

16 Maggio 2014, giornata nuvolosa, il sole va e viene e arrivare alla Casa dei Teatri su per la salita del Villino Corsini all’interno di Villa Doria Pamphilij, mette a dura prova le suole, ma finalmente si arriva. Pubblico ristretto ma partecipe, dopo una breve introduzione si comincia.

L’iniziativa promossa da Roma Capitale con una serie di incontri-conferenze-spettacolo vuole portare all’attenzione del pubblico capitolino le proposte più interessanti del cosiddetto teatro “off”. Da Maggio a Giugno dunque a varie compagnie sarà possibile presentarsi e spiegare il proprio percorso artistico, nell’attesa o forse anche un po’ nella speranza di nuovi spazi atti alle loro performance teatrali.

Il primo a fare da apripista è il Collettivo Internoenki, nome volutamente complicato, che vuole alludere al dio mesopotamico Enki, nume dei mestieri, dell’acqua, della saggezza e della creazione, origine della cosmogonia babilonese che è “internos”, fra noi, in mezzo alla gente comune, come spiega (forse con troppa enfasi) la regista Terry Paternoster, perché il teatro di questa sorta di comune teatrale autogestita è un teatro “incivile”, maleducato, che parla di “fatti” come si legge nella presentazione del sito di compagnia. Fatta eccezione per la lettura un po’ verbosa di un manifesto degli intenti che sembra prendersi troppo sul serio, quando la formalità intellettualoide lascia spazio alla parola scenica, ecco che finalmente il gruppo si presenta in tutta la sua genuina coralità, fatta di suoni antichi e musicalità popolare.

Collettivo Internoenki

Il Collettivo Internoenki punta dunque sul gruppo, sul ritratto di famiglia, sul cuore nero di quel sud intriso di superstizione e tradizioni antichissime, trasposte lungo un percorso artistico assolutamente affascinante. Già notati lo scorso anno, dove si sono meritatamente aggiudicati il Premio Scenario ad Ustica con M.E.D.E.A. Big Oil, splendida declinazione scenica delle vicende legate all’”oro nero” lucano, il collettivo non lascia spiccare nessun individuo per talento soggettivo, ma spinge con insistenza sull’anima purissima e al tempo stesso violata della collettività, sullo sfondo di una Basilicata ancora poco nota al grande pubblico. La terra d’origine della regista ritorna infatti regolarmente nelle pièce della compagnia, ricchissime di un linguaggio oscuro e fascinante che richiama ad un’umanità lontana eppure vicina, sulla falsariga di Emma Dante, ma con un quid musicale più forte che ci si augura di riascoltare ancora in maniera approfondita. Da tenere d’occhio!

 

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