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Neurosi delle 7 e 47: un viaggio dentro la neurosi

[rating=5] “Neurosi delle 7 e 47” andato in scena dal 14 al 17 aprile, al Teatro Brancaccino, la piccola sala adiacente il Brancaccio, è un serrato e intenso monologo che si rifà nel titolo a “Psicosi delle 4 e 48”, l’ultimo testo della scrittrice teatrale Sara Kane, morta suicida, ma se quest’opera si rivelava come una riflessione spietata e lucidissima sul suicidio, quella di Ennio Speranza (giovane scrittore, sceneggiatore, musicologo e musicista classico), per la regia di Massimo Natale, è  il racconto grottesco della vicenda di un uomo senza nome in attesa, che riflette sulla sua vita e che alla fine smette di mentirsi; è, insomma, un vero e proprio “viaggio” nella mente umana con  i suoi ricordi, i suoi sogni e le sue fobie.

In modo innovativo, la scena non è intesa come spazio di rappresentazione: è completamente vuota, al centro di essa un solo uomo  (ma sarebbe meglio dire un uomo solo), dei cubi e nient’altro; intorno a lui “immagini”, di se stesso e del mondo che si materializzano attraverso le sue parole e i suoi pensieri.

Sono le 7 e 47 e sta aspettando infreddolito l’autobus per  recarsi al lavoro, ma l’attesa si fa sempre più interminabile, insostenibile, ed egli sfoga via via  tutta la sua impazienza e, nel contempo, la sua alienazione di impiegato frustrato che non ama il suo lavoro, di marito che non ama sua moglie (anzi lei lo tradisce con suo fratello), di padre mancato che non ama (anche se ci prova ) il figlio che la donna ha avuto da una precedente relazione; si mette a nudo e “si dice” una buona volta come stanno le cose, scopre così di essere un inetto, che si lascia vivere e vede la sua esistenza scorrergli davanti agli occhi.

Ma il tempo passa e l’attesa diventa sempre più il pretesto per un’intima confessione al pubblico (attento, partecipe ed emozionato, adire il vero), il quale si trova davanti un uomo fragile e vittima delle sue ossessioni, ma in definitiva un piccolo uomo, mediocre e codardo, la cui vita è fatta di azioni sempre uguali a se stesse e che fugge dai sentimenti (prima di tutti l’amore) per paura della sofferenza.

Il dubbio che il suo sia tutto un delirio è inevitabile, forse iI suo ragionamento è solo il sogno di una mente disturbata, un inganno frutto delle sue neurosi… fatto sta che il fantomatico autobus  non passa e lui ha sempre più freddo.

L’unica soluzione allora sarebbe il suicidio; ma togliersi la vita, paradossalmente, implica una grande energia vitale, una notevole consapevolezza e se non la si possiede, inevitabilmente, si è condannati a una vita tiepida ed ipocrita. Ecco che, finalmente,  decide di  compiere un atto risolutivo e drammatico, forse ultimo gesto di ribellione verso se stesso, un disperato tentativo di cambiare vita.

Cristian Ruiz in Neurosi delle 7 e 47

Il testo, in perfetto stile pirandelliano,  esplora con finezza i lati più celati e perturbanti del protagonista, rimasti nascosti dietro il perbenismo di una società borghese, e riesce ad esprimerne gli  aspetti più  ironici e grotteschi, con l’intento di far emergere il ritratto dell’uomo contemporaneo sempre più alienato, privo ormai di una identità definita, tanto che l’“essere” equivale al “non essere”.

Cristian Ruiz,  performer straordinario e protagonista di numerosi spettacoli di successo e di tanto teatro musicale, si cimenta in questa prima vera importante ed impegnativa prova d’attore, da  solo al centro del palco,  tratteggia e racconta splendidamente le neurosi non solo di un uomo, ma dell’uomo in generale, mostrandosi davvero preparato e ferratissimo nella difficile arte del monologo.

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