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L’uomo dal fiore in bocca…e non solo

Gabriele Lavia porta in scena Pirandello per la quarta volta con L’uomo dal fiore in bocca. Dal 6 al 18 dicembre al Teatro Quirino di Roma

Gabriele Lavia ha concluso l’ultima data al Teatro Stabile di Torino de L’uomo dal fiore in bocca e si sposta al Teatro Quirino di Roma dal 6 al 18 dicembre. L’uomo dal fiore in bocca è un atto unico che Luigi Pirandello trasse da una propria novella del 1918 La morte addosso. È la quarta volta che Lavia si confronta con il premio Nobel siciliano con questo allestimento in cui confluiscono insieme anche altre novelle come si allude nel titolo “…e non solo”. Un omaggio a temi cari a Pirandello: le riflessioni sul senso della vita, la presenza incombente della morte, l’ironia che ricorda alla vita di abbassare lo sguardo, il rapporto tra uomo e donna, il senso di solitudine.

Il protagonista, interpretato da Lavia, prossimo alla morte per un epitelioma che l’ha marchiato con un fiore sulla bocca, si ritrova nella sala d’attesa di una stazione. Qui incontra l’Uomo Pacifico, pieno di pacchi colorati, lo stereotipo dell’uomo qualunque, lì di passaggio perché ha perso il treno,  calato nella mediocrità e banalità della vita quotidiana a tal punto da non avvertirne più il palpito. L’uomo dal fiore in bocca tenta di scuoterlo con riflessioni filosofiche, citando Schopenhauer e penetrando le pieghe più piccole e insignificanti della sua e della propria vita, per scardinarle e ricomporle secondo un senso più alto. È la strategia dell’uomo pirandelliano che ancora riesce a provocarci nel suo tentativo di riappropriarsi della vita e portarla in trionfo proprio nel momento in cui sembra abbandonarlo. E il distacco e l’ironia sono gli alfieri immancabili di questa marcia.

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L’azione è ambientata in una scenografia imponente curata da Alessandro Camera, costruita nei magazzini del Teatro della Pergola di Firenze, riaperti per questa occasione. Una vecchia stazione con le vetrate annerite da cui si intravedono i bagliori dei treni che passano, i tabelloni degli orari scoloriti, un gigantesco orologio che troneggia al centro, ma senza lancette. Siamo catapultati in un luogo e in un tempo sospeso dove l’assurdo e i quotidiano si incontrano. “Ci troviamo in una sala d’attesa, in un luogo dove si perdono i treni e dove mai nessuno riuscirà a partire. È la sala d’attesa della morte, in una stazione ferroviaria metafisica, simbolo appunto della vita” commenta il regista.

L’uomo dal fiore in bocca sa come punzecchiare l’uomo banale, ma sfida anche la società tutta con le sue divagazioni sulla parità dei sessi, su i desideri e i sogni che ci rendono simili. Tematiche all’avanguardia se si considera che l’opera fu rappresentata per la prima volta il 22 febbraio del 1922. Ogni tanto il protagonista interrompe le proprie elucubrazioni per inveire contro la donna vestita di nero che ogni tanto passa e lo punta da dietro le vetrate. È la Morte che lo attende, la sua compagna predestinata. Ma Pirandello riesce a farci ridere persino di questa ineluttabile e angosciante presenza che incombe, con quell’umorismo tutto del sud: “Tu sai, Uomo Pacifico, perché la morte è brutta? Perché ha le gambe secche”.

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