[rating=4] Tre palloncini bianchi in un largo cerchio dipinto per terra, in lontananza mura altissime, una città fortificata che ascolta le note suonate dal vivo da alcuni viandanti. Così si apre lo spettacolo “Le rane” di Aristofane al teatro Storchi di Modena, portato in scena dalla Fondazione Teatro Due di Parma. I primi movimenti sembrano purtroppo mimati ma è solo la sbavatura iniziale di uno spettacolo ben congeniato e recitato. Il testo è tratto dalla più famosa commedia di Aristofane, messa in scena per la prima volta ad Atene nel 405 a.C. e ripetuta negli anni successivi, cosa alquanto rara per quel periodo.
Atene sta andando allo sbando anche a causa della corruzione che la affligge. Dioniso, il dio del vino e del teatro, intraprende un viaggio nell’Ade alla ricerca di Euripide, l’unico che può, con la sua poesia, restituire alla città il proprio rigore morale e farla tornare vittoriosa e fiorente. Il viaggio inizia dalla casa di Eracle, che si è già recato negli inferi e ne conosce i segreti: “nell’Ade è facile entrare ed è difficile… Parcheggiare”. Eracle si burla del potente dio e poi lo indirizza da Caronte per attraversare il fiume Acheronte. Qui Dioniso incontra le rane, che danno il nome allo spettacolo, le quali non lo riconoscono pur cantando-gracidando in suo nome. Su questa doppiezza del dio si basa gran parte della vicenda: Dioniso quando più gli è comodo si trasforma, recita una parte, si umanizza e perde ogni tratto metafisico: oltre a diventare Eracle, lo “specialista” in torture che lo attende al cospetto di Eaco gli suggerisce di vestire i panni del suo schiavo, salvo poi venire comicamente frustati e torturati entrambi. (Dioniso: “Son tutto sottosopra!” Xantia: “te la sei fatta sottosotto!”). Azzeccata la contaminazione con la clownerie in queste scene, con martellate su mani finte che però si uniscono ad una buona recitazione che mantiene il tutto reale e non palesemente decadente.
Molta contemporaneità è stata inserita nel testo sempre attuale di Aristofane, con riferimenti per niente velati alla politica e ai problemi dei giorni nostri: si passa dalla “minorenne nipote del faraone” alla serie di “e quelli che…” recitata con un enorme megafono rivolto verso il pubblico, fra cui primeggia “e quelli che pensano che La Russa sia una badante, un’insalata, un ministro!”.
Dioniso trova alla fine Euripide durante un litigio furioso con Eschilo per stabilire chi dei due sia il più grande poeta tragico. Mentre nel testo originario si apprezza la potenza dei versi soppesati molto teatralmente da una bilancia, qui si elogia la leggerezza delle parole, sottolineate da tanti palloncini che, altrettanto teatralmente, possono librarsi in volo o cadere a terra. Le suggestive luci enfatizzano questa scena interessante, con parti drammatiche ben costruite, che si conclude con la vittoria di Eschilo, dopo un consulto con il pubblico. Gli spettatori sono spesso tirati in ballo direttamente, sono “gli eletti” ma soprattutto gli elettori.
Una comicità interessante, che prende spunti dai grandi comici italiani (si cita anche “per andare dove dobbiamo andare che strada dobbiamo fare?”), diverte e pone il tema dell’arte come rinascita morale, come imprescindibile valore per purificare il nostro animo e con esso le nostre città dalla corruzione, un tema sempre attuale. E’ il teatro che eleva l’uomo, lo testimoniano le frasi di famosi commediografi e scrittori, accompagnate da palloncini leggeri che sfilano verso il soffitto: serve il Teatro con la “T” maiuscola, non possiamo “perdere tempo con questi laboratori sperimentali”.