[rating=4] All’ingresso del pubblico nella platea dell’Arena del Sole di Bologna, gli attori sono già sul palco aperto, parlano, provano gli strumenti, sono persone e non personaggi. “Dov’è l’attore, dov’è il personaggio, dov’è la persona?”. Gli attori attendono come tutti che inizi lo spettacolo, dato che loro, in un bell’esempio di “teatro nel teatro”, stanno facendo le prove della recita che dovranno rappresentare davanti al re in persona. Molière, interpretato da Paolo Rossi, li guida in quest’avventura contro il tempo, due ore per spartirsi i ruoli, chiarire gli ultimi dubbi e trovare una rappresentazione degna della corte del re.
“Reciteremo improvvisando e improvviseremo recitando”, annuncia Paolo, in questa commedia “anarchicamente ispirata” all’”improvvisazione di Versailles” (L’Impromptu de Versailles) creata da Molière nel 1663 e riscritta dal bravo Stefano Massini, insieme a Giampiero Solari e allo stesso Rossi. Per meglio ricostruire i cerimoniali dell’epoca, la compagnia si cimenta subito in un inno al re, una specie di jingle cantato e suonato dal vivo da I Virtuosi del Carso, che sempre affiancano Paolo nelle sue performance. E non è l’unico riferimento alla vita teatrale dell’epoca: interessante l’aneddoto sui bagni di Versailles, relegati soltanto nelle camere reali e di conseguenza non a disposizione di tutti. Lo stesso Molière espletò i propri bisogni in uno dei corridoi, come era costume nel settecento.
Paolo Rossi scherza con la tormentata vita di Molière, il quale “sta con la madre e sposa la figlia, un uomo che voleva farsi una famiglia!”, passando per i vari problemi per debiti fino alla morte, paradossalmente mentre interpretava “il malato immaginario” sulla scena. Ovviamente il racconto di Paolo non può non venire contaminato da frecciatine ai politici odierni, “lì fuori recitano tutti meglio di noi!”. L’autore ripercorre tre dei capolavori più noti di Molière, “Il misantropo”, “Il Tartufo” ed “Il malato immaginario”, adattandoli al piacere del re e dei suoi invitati. La commedia insegue i richiami dettati dagli spettatori, ad esempio impersonando preti e suore quando il re ha a corte la curia, ricopiando un comportamento comune anche allo stesso Molière, che passò dalle amate tragedie alle commedie, che ovviamente attiravano un maggior numero di pubblico pagante. Gli attori entrano faticosamente nel proprio ruolo, si immedesimano e giocano col personaggio fino a quando la ruota gira, il re dichiara altri bisogni e la commedia viene pesantemente stravolta: il personaggio e l’attore si mischiano, talvolta non si capisce dove inizi uno e finisca l’altro, dove finisca la recitazione e dove inizi la realtà.
Non possono mancare frecciatine irriverenti alla chiesa, con Paolo Rossi vestito da papa ma con in testa il cappello di Che Guevara, passando per la storia di “San Paolo, un sant’uomo, scriveva sempre ai corinzi, ma non gli hanno mai risposto!”, per arrivare all’inferno di Bertone: “un monolocale!”. Le battute arrivano improvvise e non possono che centrare il bersaglio.
Poetico il riferimento alla fine del sogno di Versailles con l’Eclisse di Prèvert, dissacrante ed ironico:
“Luigi XIV chiamato anche Re Sole
spesso era seduto su una tazza del cesso
verso la fine del suo regno
una notte in cui faceva molto buio
il Re Sole si alzò dal letto
andò a sedersi sulla tazza
e sparì.”
Uno spettacolo ben costruito, divertente e, seppur con nessuna dichiarata pretesa di essere un documentario storico, con molti rimandi alla vita settecentesca di corte: la compagnia teatrale diventa una famiglia allargata, le attrici sono amanti e concubine, il teatro è come una casa, le musiche, durante l’intervallo, dei flauti ed archi dei Virtuosi del Carso ci fanno rivivere la magia dei teatri parigini dell’epoca. Buona la regia di Giampiero Solari, da sempre collaboratore di Paolo Rossi oltre che ottimo conoscitore di Molière.