
[rating=4] E va bene le “streghe” sono quelle del Macbeth, ma anche nell’Otello si parla dopotutto di incantesimi e “fatture”, quelle che Brabanzio imputa al Moro per avergli con l’inganno, sostiene lui, sottratto la bella figlia Desdemona che, contraria ad ogni ordine paterno, sposa il nobile generale e lo segue a Cipro. Ma in questa versione di Marco Carniti in scena al Globe Theatre di Roma l’incantesimo è soprattutto quello di un allestimento molto evocativo, che gioca sulle grate di una prigione non solo fisica, quella dell’ormai celeberrima e accecante gelosia in cui incappa Othello istigato dal viscido Jago, qui un Gianluigi Fogacci da inchino multiplo, quasi sempre in palco, perfetto nelle sue battute enciclopediche e dalla presenza scenica meravigliosa. Stazza di scena invidiabile anche per Maurizio Donadoni, un Othello decisamente poco esotico che tradisce qui e lì un accentino bergamasco, ma che offre al pubblico un personaggio straordinario, con punte comiche in perfetto stile shakespeariano.
Una coppia da urlo insomma questo Jago-Othello di attori “di razza”, tanto per restare in tema, che manco a farlo apposta più attuale di così in questi giorni di sofferte migrazioni, proprio non si può. Perché in fondo questo psicodramma della gelosia ruota intorno a questi ostinati punti di mancato dialogo: quelli sulla diversità sociale, di religione, etnia appunto, come sbraita Brabanzio in faccia al Moro, questa diversità su cui ci si impunta per poi cadere, ciechi al richiamo piuttosto dell’identità comune, quel “io sono Othello” che Carniti stampa sulle spalle dei suoi personaggi in apertura. Sì siamo tutti Othello, quell’anima nera che infondo dorme sotto l’abitudine e la norma, ma pronta ad esplodere con violenza inaudita al semplice solletico della piuma del tradimento. Ottimo spettacolo, perfetti gli attori, fra gli altri menzione speciale alla bravissima Carlotta Proietti nel ruolo di Emilia e all’incredibile Roderigo-Gigi Palla, indimenticabili.