[rating=3] Una stanza scintillante, pareti dorate e un letto a forma di croce, si sentono le note di Vesti la giubba meglio conosciuta come Ridi pagliaccio e un uomo mezzo nudo, fuma una sigaretta, si fa un’iniezione e poi crolla sul letto: è Don Giovanni.
Si alzano le luci accompagnate da A mezzanotte di Celentano, entra il satiro-servitore Leporello, due fanciulle vestite di tulle rosa e mascherina nera scappano ridendo. Il servo lo invita a fuggire perchè a breve giungeranno i padri e i fratelli delle giovani violate, ma candidamente Don Giovannni risponde che non può scappare senza musica, perchè “tutto questo silenzio è assordante”.
Irrompe in scena una donna vestita di rosso e munita di coltello che lo invoca disperatamente con un marcato accento inglese: è Donna Elvira che per lui ha tradito la castità di una vita in convento.
Ma lui è già lontano. La scena si sposta nella casa di un Commendadore, in cui c’è una festa per il fidanzamento di sua figlia Anna, una fragile ragazza su una sedia a rotelle, che ricorda ad alta voce un aborto adolescenziale, poi un buio improvviso nella stanza e il rumore di uno sparo che uccide il padre-stupratore di lei. Entra Don Giovanni mascherato e, annunciandole la morte del genitore, si scaglia su di lei violentandola.
La scena prosegue in campagna dove Don Giovanni si imbatte in Zarlina, contadina-carillon umano sciocca e provocante. Per sedurla decide di organizzare una grandiosa festa al suo castello, dove giungono però anche le sue inseguitrici: Donna Elvira e Donna Anna.
Con un colpo da maestro, addossando tutte le colpe al fedele Leporello, abbandona la scena, lasciando tutti interdetti. Il tempo di capire che Don Giovanni è fuggito nuovamente e il folle inseguimento prosegue. Sulle note di Baglioni e del suo piccolo grande amore, gli inseguitori di Don Giovanni si fermano un istante per ballare.
Uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da Filippo Timi che sceglie un ottimo cast di attori; una regia dal sapore glam rock, con alcune (volute) punte di demezialità che strizzano l’occhio alla cultura mediatica contemporanea. Per questo l’uso quasi ossessivo di video di you tube, di canzoni disney e di sigle di cartoni animati come Tigermen. Questo Don Giovanni post moderno è un uomo in balia inconsapevole di tv, social e consumismo, che vede nel soddisfacimento dei suoi bisogni primari l’unico scopo da perseguire. La riscrittura è interessante e la chiave di lettura accattivante, ma forse gli “stimoli” e i continui riferimenti culturali inviati al pubblico sono troppi e, a volte, disordinati, e rischiano di “distrarre” e “disorientare”, laddove vorrebbero forse “guidare” e “svelare”.
I meravigliosi costumi sottolineano questa inadeguatezza dei personaggi: dall’abito rosa beige “plastificato” di Don Giovanni all’enorme abito rosso di piume di Donna Elvira, passando per l’abito da bambolina “dark” di Donna Anna corredato di altissime scarpe ortopediche nere.
Abiti che impediscono i movimenti fluidi dei personaggi, che li costringono ancora di più in questa prigione esistenziale nella quale sono reclusi tutti inconsapevolmente, tranne Don Giovanni.
Lui che si diverte di volta in volta ad indossare gli abiti degli altri, per continuare il suo gioco che potrebbe durare all’infinito. Eppure ad un certo punto si ferma, forse stanco, saturo di tutto ciò.
Eccolo Don Giovanni è immobile, in una stanza bianca asettica, un Cristo su una sedia a rotelle con due flebo di sangue attaccate alle braccia. In fondo perchè continuare a fuggire?”Sempre a fuggire la morte, in fondo è un appuntamento come un altro”.
Don Giovanni si ferma, ma non si pente, non può rinnegare la sua natura, per lui “Dio è un virus e la vita è un’infezione”; ha scelto una “vita estetica” ad “una vita etica”; ha fame di questa vita perchè ne avverte la fragilità e le contraddizioni e solo l’atto sessuale lo rende vivo.
Per gli altri non è che un “miscredente, egoista, stupratore, traditore”, per sé stesso è un essere fedele alla sua natura animalesca.
È un clown tragico che ha scelto di vivere senza limiti, di arrivare fino in fondo, di consacrarsi completamente alla “religione della carne” perchè non esiste nient’altro di reale ed ora è ormai stanco, ma prima di andare annuncia in tono sarcastico che “ogni uomo viene ucciso quarantasette volte, siete ridicoli, tutti. Vi stringete ai vostri profeti, ma tanto loro non vi salveranno”.
E sulla musica dei Queen, viene sbranato e fatto mille brandelli dalle “sue” donne invasate, prorprio come Orfeo dalle baccanti.
Orfeo dalle Baccanti?!?!?
Sì, Orfeo viene ucciso dalle menadi o baccanti, invasate dal Dio.(in Pausania, “Viaggio in Grecia”, IX,30,5 e anche in Virgilio, “Georgiche”IV, 317-452).Forse più nota è la vicenda di Penteo, morto sempre per mano delle baccanti.(Euripide, “Le baccanti”)
Mariaelena Prinzi