[rating=4] Giovanna D’Arco e le sue gesta riprese da Maria Luisa Spaziani nel poemetto in sei canti in ottave di endecasillabi senza rima, sono riemerse sulla scena del Teatro Cantiere Florida di Firenze, nell’omonimo spettacolo con un’icastica Elisabetta Pozzi diretta da Andrea Chiodi.
Infiniti sono nel tempo gli accostamenti del nome di Giovanna D’Arco, archetipo di eroina e martire, al mondo dell’arte. La fanciulla-soldato ha ispirato un’infinità di grandi artisti di epoche e settori dissimili. Verdi e Tchaikovsky ne composero rispettivamente la partitura pe opera lirica, l’una omonima, l’altra sotto il nome “La Pulzella D’Orléans”. Ma è soprattutto grazie alla settima arte, e ai capolavori cinematografici di Dreyer e Bresson, che conserviamo il vivo ricordo della passione, del suo processo e del rogo.
«Inciampavo sulle aguzze macerie del mio sogno»
La riscrittura narrativa di Maria Luisa Spaziani, collocata nel campo poetico, tra finzione storica e verità lirica ridisegna, in un racconto in prima persona, il percorso e soprattutto l’epilogo della Pulzella d’Orléans. Nei versi del pometto Giovanna viene tratta in salvo dalla cugina del re poco prima del rogo di Rouen, e successivamente presa in sposa da un nobile che partirà per le crociate senza mai fare ritorno. Nella solitudine del rifugio gli anni passano lentamente, fino al giorno in cui la santa-guerriera incontra un frate. Nel raccontarle le gesta e la fine tragica di “una donna che scelse e pienamente fu”, il frate rompe il rituale di isolamento della giovane dal mondo, che ridestata, associa la sua venuta ad un segno dell’Arcangelo Michele, suo sommo custode. La notte un incendio avvampa dagli alberi del palazzo e Giovanna decide di compiere il suo destino, donandosi alle fiamme. Il cerchio così si chiude, Giovanna muore, restando eterna, come lo era già per tutti. «Era vero./ Difficile spiegare, a chi è mortale,/ come la morte può fingersi vita»
La Spaziani forgia un poemetto agile e profondo, tanto delizioso ad ascoltarlo narrato in scena, quanto sorprendente nel rileggerlo, dove si colgono ancor più i colori e le sorprese che si aprono ad un passaggio più approfondito. «Alto pulsava il cuore della vita/ dolce e violenta, misteriosa e bella,/rosa di maggio che al suo tempo s’apra»
La Jeanne di Elisabetta Pozzi è innanzitutto donna, dall’animo energico e deciso. L’attrice brandisce in aria i versi meglio della spada, con movimenti non sempre scioltissimi (dovuti a costume e corazze), che tuttavia riempiono la scena nella sua interezza. Accompagnata da un “angelico” sottofondo sonoro, ben eseguito dal vivo da Simonetta Cartia e Francesca Porrini, l’attrice con gran cadenza fa rinascere il poema della Spaziani, inciampando in lievi cali di memoria, ma mantenendo alta tensione emotiva e pathos, stringendo il pubblico al suo fianco.
Efficace e dinamica la scenografia pensile disegnata da Marco Grisa, che richiama lontani stendardi e popolari cantastorie. La regia fluente e minimalista di Andrea Chiodi, si concentra sull’innalzare la purezza e la poesia del testo, senza perdere di vista spazio scenico, ritmo e azione. L’incontro tra una grandissima del teatro italiano e un poemetto incantevole e armonico, dalla grande musicalità dei versi, ci restituisce uno spettacolo vivo, dove è possibile udire il pulsare del cuore dell’eroina francese.
La poesia di Maria Luisa Spaziani tra calate e ascensioni non precipita in vortici retorici, offrendoci pagine di supremo lirismo: un “Cantico dei Cantici” popolare, dal quale è possibile scorgere il divino. «Forse un angelo parla a tutti, eppure / in quel supremo momento pochi ascoltano»