[rating=4] Un palco vuoto, con soltanto un leggio e due schermi in verticale, così da risultare non “televisioni” ma quasi porte dalle quali vedere un’altra realtà, è la scenografia dello spettacolo “Ferite a morte”, con Lella Costa, Orsetta de’Rossi, Rita Pelusio e Giorgia Cardaci, per la regia di Serena Dandini.
Il testo, il primo scritto dalla Dandini per il teatro che è poi diventato anche l’omonimo libro, è molto tagliente e bello: un rapido susseguirsi di storie di donne morte, uccise per mano dei loro mariti, compagni, ex fidanzati, ma anche fratelli e padri. La loro colpa? Sarebbe semplicistico dire che hanno incontrato l’uomo sbagliato. Più spesso i condizionamenti sociali, le influenze religioso-fondamentaliste, il rapporto morboso con la propria madre, i problemi psicologici non ancora risolti, il considerare la donna come un oggetto, la smodata possessività e la gelosia morbosa sono le cause scatenanti di comportamenti violenti, che possono sfociare nel femminicidio. I racconti sono forti e molti condividono la medesima trama: l’uomo dapprima sembra la persona più buona e amorevole di questa terra, poi spuntano i comportamenti anomali e compulsivi che si accompagnano alle prime violenze, dapprima verbali che ben presto si trasformano in materiali. Il punto di vista delle donne riguardo a queste prime violenze è “sconcertante” quanto vero: l’uomo, un “fascio di nervi ma debole di stomaco”, viene scusato, “gli erano venuti i cinque minuti…”, nella speranza che sia un fatto isolato. “Ce l’ho messa tutta a non farlo arrabbiare”, “se gli dai ragione anche se ha torto tutto fila liscio”, “le cose vanno fatte a maniera, la sua!”.
La routine delle botte prende piede e la donna si stupisce quasi se non viene picchiata: “stavolta non mi ha neanche menato!”. L’annullamento della donna rispetto all’uomo violento, “lascio il lavoro, se ho bisogno chiedo a te”, conferisce all’uomo ancora più potere e rappresenta quell’odore di zolfo e quel sibilo sordo della fiamma che, seguendo la miccia, sta per arrivare alla polvere da sparo.
Non è possibile tracciare a priori l’identikit dell’assassino: si va dal caso in cui lei inizia a guadagnare più di lui, “non l’ho fatto apposta, ma è un affronto alla sua virilità”, al delitto d’onore in piena regola, una “legge che dava una mano ai poveri mariti addolorati”, ma che in alcuni paesi comporta la lapidazione nella pubblica piazza “con applauso finale” anche del padre e fratello, i quali “a loro modo mi volevano bene”.
I ceti sociali sono tutti ben rappresentati, anche se cambiano i modi: i top manager non si sporcano le mani e assoldano killer professionisti, gli operai utilizzano la loro… manualità (“era ordinato e preciso, mi ha segato in tanti pezzi tutti uguali”), i più improvvisati le buttano nei pozzi… Il messaggio importante è “potrebbe essere chiunque!”, ed è indirizzato ad ogni donna del pubblico: “non ce la facciamo a capire che sono proprio loro a farci questo”, “la violenza ha mille volti, ma come fai se ha quello del tuo amante?!”. Analizzando molti casi di violenza sulle donne, questo spettacolo mette in guardia a non sottovalutare il problema fin dalle prime manifestazioni, oltre a puntare il dito contro una società maschilista e sorda a questo tipo di problematiche (“È una vita che ci insegnano ad assecondare gli uomini”, “Se lo sapevano tutti perché gliel’hanno lasciato fare? E io perché gliel’ho lasciato fare?”).
Unica voce fuori dal coro è la zitella che ironicamente dà ragione agli uomini, “cosa ti deve spiegare? Che sei cretina? […] Io ci credo che questi uomini arrivino alle mani!”, “te lo sei presa e te lo tieni!”, “un giorno o l’altro io ti ammazzo” poi ti uccide davvero e tu ti stupisci, “ma se te lo dice!”. La doppia ironia è che viene uccisa dal marito di un’altra.
“Una donna uccisa ogni due giorni solo in Italia”.
Lo spettacolo è ben fatto e recitato, di chiaro stampo televisivo, anche se talvolta i racconti risultano un po’ ripetitivi. Le varie dinamiche di coppia, ma anche quelle sociali e religiose, sono approfondite bene dal punto di vista femminile, sempre utilizzando una chiave di lettura sarcastica e ironica. E gli uomini? Mentre il mondo femminile è messo in guardia in modo diretto, quello maschile si intravede riflesso nello specchio dei racconti proposti, non viene scandagliato in prima persona. Lo spettatore uomo non si può immedesimare nei mostri che picchiano, vessano e uccidono, ma questo sinceramente è un bene: nessuno vorrebbe mai che qualche cretino emulasse le storie che ha ascoltato come è successo per i sassi dal cavalcavia della cronaca di qualche anno fa.