L’universo delle favole è da sempre terreno fertile per Emma Dante. Lo ha esplorato in diversi suoi spettacoli con protagoniste Biancaneve, Cenerentola, La bella addormentata. Ma non ci sono solo principesse, anzi. Pure quelle poi vengono in qualche modo ridisegnate dall’inconfondibile tocco della regista palermitana, che indaga anche la ferocia di certi racconti del Basile. Così ne La scortecata, ancora su un palco romano, assieme al nuovo lavoro Il canto della sirena, in scena al teatro Vascello il 23-24-30 novembre e 1 dicembre 2024.
A differenza de La scortecata, Il canto della sirena però, ispirato all’opera La sirenetta di Hans Christian Andersen, apre un ideale sipario anche ai piccoli spettatori. La scena è come sempre nuda, animata più che mai dal corpo e dalla voce, è proprio il caso di dire, degli attori. Il racconto si schiude infatti dal buio proprio col canto della giovane sirenetta. Una melodia dai ritmi isolani, mescolati poi durante tutto lo spettacolo con note di carnevalesca saudade. La sirena canta ancora ignara delle cose del mondo, quasi “mummificata” nella sua coda larvale, che tradisce una coscienza verde ancora in fieri.
L’occasione per un guizzo sempre troppo fugace nel mondo degli adulti lo offre il naufragio di una nave, da cui lo stesso principe in qualche modo rinasce da creatura marina a essere umano. La storia almeno in parte è arcinota, merito della versione disneiana edulcorata. La sirena salva il principe e anela di ricongiungersi con lui sulla terraferma. Ma ahinoi tutto ha un prezzo e quell’obolo sarà proprio la voce ceduta alla strega del mare. È lei se devo dirla tutta la vera protagonista, qui nelle vesti francesizzate di un’irresistibile Stephanie Taillandier, che abbandona ogni asperità da villain e ci regala una cattiva-comica che conquista il favore del piccolo pubblico. E non solo.

Il suo buffo incedere sui tacchi segna quasi il ritmo del racconto in cui la sirenetta (una brava e intonatissima Viola Carinci) cede alla fatale rinuncia di se stessa per conquistare l’amore del principe (Davide Celona). Un principe volutamente posticcio, che sfoggia una ridicola calzamaglia, manco a dirlo, azzurra e una camiciola di pailettes dorate. Distratto, indeciso, facile alla virata di scelta in fatto di mogli. Una sequela di red flags si direbbe oggi, che però non spostano la sierenetta da quell’insano amore “a tutti i costi”.
Nella versione originale della favola, la protagonista perde la voce e ottiene le gambe, ma pure la morte, se il principe avvesse infine scelto un’altra sposa. La decisione è irreversibile. A patto che la sirenetta uccida l’oggetto del suo amore con un pugnale magico (opportunamente barattato dalle sorelle sirene in cambio dei loro capelli alla strega) e si bagni i piedi nel suo sangue prima del sorgere del sole. Aspetto creepy che la Dante opportunamente elude, consegnandoci però lo stesso finale. Niente happy ending isomma.
D’altra parte come Bruno Bettelheim insegna ne Il mondo incantato, le fiabe aiutano i bambini a costruire la loro identità e le reinterpretazioni a lieto fine le svuotano solo di significato, deprivando i giovani fruitori degli strumenti utili a comprendere il bene e il male del mondo. Questa versione emmadantesca restituisce invece genuinamente tutta la fragilità della protagonista, Agnese, che sacrifica la propria anima acerba, ottenendo un rapido momento di grottesca tenerezza col suo principe, presto interrotto dalla concorrenza della strega. Il racconto si snoda su un doppio registro, parlando ad adulti e bambini, un compito non facile che però Emma Dante porta a segno.
La sua regia è come sempre evocativa e graffiante e gioca in modo fortemente iconico sui volumi. Prima le bende con cui sono avvolte le code, che si srotolano quasi a imitare l’onda nella tempesta. Poi i lenzuoli d’oro stroppicciato dei troni. Fogli leggeri che incartano e quasi seppelliscono i coniugi coronati e infine i veli leggeri della sposa infelice, che ritorna in qualche modo a casa come spuma di mare. Un lavoro eccellente che non tradisce lo spirito tipico della poetica della Dante e che ancora una volta, laddove ve ne fosse bisogno, ci offre conferma del suo innegabile talento.