[rating=5] In un mondo in cui tutto ha ormai perso il reale valore ed in cui le cose e le persone valgono più per l’apparenza che non per il mero contenuto, ovviamente l’arte e la cultura sono relegate in un ruolo men che secondario; ecco allora che gli attori decidono di mettersi in vendita , come carne su un bancone del macellaio, ma con profonda ed altissima dignità.
E’ questa la motivazione iniziale dello spettacolo “Dignità Autonome di Prostituzione” tratto dal format di due geni teatrali quali Betta Cianchini e Luciano Melchionna, giunto ormai al suo ottavo anno di vita e in tour nei maggiori teatri italiani e all’estero sempre con un successo crescente, attualmente ospitato negli studi e negli spazi espositivi degli Studios di Cinecittà (dal 14 luglio fino al 1 agosto per dieci serate).
Gli attori in vestaglia e giacca da camera adescano, con la mediazione delle maitresse, gli spettatori/avventori per fargli acquistare la loro “pillola” di piacere sì, ma teatrale, che può consistere in varie tipologie di performance, della durata di circa 15 minuti, ispirate sia ai classici che a testi contemporanei; i clienti pagano con i “dollarini” distribuiti loro all’ingresso e solo a quel punto potranno appartarsi con la prostituta prescelta ed assistere all’ esibizione negli ambienti degli Studios (museo, giardino, studio di posa, camerino, ecc.) che nel frattempo è si sono trasformati in un “bordello” dell’arte.
Così, tra monologhi e momenti corali coinvolgenti e spassosi, si assiste ad un puro godimento teatrale che cerca di restituire dignità all’arte della recitazione ( anche del ballo, del canto e della scrittura ultimamente troppo sottomesse alle regole del mercato), ma soprattutto al lavoro dell’attore e avvicinarlo al mestiere più antico del mondo in modo del tutto nuovo e provocatorio.
Lo spettatore vive, ed è esso stesso attore, di un gioco unico in cerca di racconti che facciano emozionare, ridere, piangere, riflettere: non si tratta, perciò, di uno spettacolo teatrale bensì di un’ esperienza teatrale, nel senso proprio del termine, cioè di una ricerca. Si può facilmente dedurre che il godimento artistico non si esaurisce in una sola serata, sono davvero tanti gli artisti e quindi si è invogliati a tornare più volte.
Tra i quaranta protagonisti da segnalare Alessandro Lui (Il Settimo) che nel suo monologo con bravura rigorosa coerenza spinge il suo pubblico ad una profonda autocritica ed a rivedere certezze e convinzioni, ribadendo il concetto di solitudine ed incomunicabilità dell’uomo contemporaneo; Clio Evans (Wanda), novella Jessica Rabbit, in fasciante abito rosso, che tutto sembra fuorchè sprovveduta di un cervello pensante, sembra così tanto sciocca, ma invece fa della furbizia e della capacità di aggirare l’ostacolo le sue doti vincenti; e ancora Veronica D’Elia (L’Anarchica) geniale e minuta scolaretta con tanto di grembiulino e fiocco tricolore e con un simpatico accento partenopeo che si cimenta in un monologo tratto da ”Chiudiamo la scuola”, un testo di Giovanni Papini che demolisce il sistema scolastico, inutile e dannoso, perché plasma le menti a sua immagine e somiglianza e che si rivela di estrema attualità. Per concludere doverosa menzione del monologo di lacerante intensità sull’amore scritto da Luciano Melchionna e profuso con nobile semplicità da Gianluca Merolli (Il Nella, un ossimoro più che un nome d’arte) grandioso interprete di quello che può definirsi il teatro degli occhi, di quei momenti cioè in cui quelli dell’attore incontrano quelli di chi lo guarda e lo ascolta ad una distanza così ravvicinata che lo spettatore può posarsi su ogni piega del viso (anche dell’anima?) di chi mette in scena il suo racconto.