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Adda passà la Dodicesima notte

[rating=2] Shakespeare mantiene intatta la buccia e resta chiuso a riccio, mentre i succhi nutrienti e vitaminici restano all’interno del frutto. In poche parole, lo spettacolo non esaudisce il suo potenziale. Si sta parlando de La dodicesima notte, commedia shakesperiana degli equivoci e delle beffe diretta dal regista re – personalmente in scena nel ruolo del servitore Malvolio -, in cartellone al teatro Manzoni di Pistoia dal 27 febbraio al 1 marzo 2015.

Il folto ensemble degli attori che popola il palco, i musicisti che eseguono dal vivo, costumi creati ad hoc, uno sfondo blu violaceo e una pedana mobile promettono bene, ma la promessa è disattesa da una recitazione meccanica, salvo piccole eccezioni. L’ingranaggio teatrale non è ben oliato e gli attori entrano ed escono dalla scena senza carburare. La trama giocosa, scherzosa si presta a variabili di ritmo, ma la velocità e la lentezza qui sono una cosa sola. Anche se la regia manovra l’insieme con l’intento di creare colpi di scena, la verità è che infine i momenti salienti della trama non emergono e il testo spumeggiante risulta sgassato. L’amore non ricambiato è vissuto allo stesso modo di una canagliata ai danni del prossimo, così come il lutto e la gioia sono affrescati con gli stessi colori. Gli spettatori del Manzoni di Pistoia tuttavia ridono di gusto per certe trovate comiche, ma in altri momenti si fa’ fatica anche a sorridere. Nessun attore emerge veramente, lo stesso Cecchi si affida alla sua voce profonda, impostata e addomesticata dall’esperienza, ma non troppo briosa. Comunque bello e suggestivo l’impatto visivo dello spettacolo, a livello puramente estetico.

la dodicesima notte

La trama è il classico intreccio di coincidenze sfortunate, triangoli amorosi, scambi d’identità e beffe divertenti. L’ambientazione data da Shakespeare è l’Illiria, regione inventata dei Balcani, ma per tradizione la messa in scena smentisce il luogo natio dell’azione. L’allestimento è anche in questo caso piuttosto neutro, uno sfondo con pochi oggetti che entrano in scena come elementi di novità e spartiacque. Due gemelli naufragano, credendosi reciprocamente annegati, e cominciano il loro nuovo percorso alla corte dei potenti dell’Illiria, dove scateneranno una giostra di travestimenti e inganni amorosi, fino all’immancabile lieto fine. Shakespeare cuce una serie di tipi umani di bella fattura, ben riconoscibili nella loro forma esteriore: dai servi ai principi, dai buffoni ai prodi cavalieri ognuno ha un ruolo preciso nel tessuto dell’esistenza, strappato da incursioni di chi non ha un ruolo importante nella società, ma che nelle commedie può ribaltare la situazione. Si da’ molto spazio agli intrighi dei servi, ma anche al concetto di amore sfortunato e non ricambiato, consolabile – dice il testo – solo dalla musica.

L’esecuzione di questo gioco è una bandiera non alzata, a causa di una plasticità recitativa che è mancata a dare forza a un testo che meritava più follia, più esagerazione, ben rese invece – ad esempio – nelle commedie di Strehler. Divertenti gli stacchetti canori, dove finalmente ci si lascia traspostare nel mondo apparentemente insensato del linguaggio di Shakespeare.

Commedia in due atti di 60 minuti ciascuno, viene da dire adda passà ‘a nuttata, anzi la Dodicesima notte.

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