Due o tre ticchettii di bacchette, l’archetto sul contrabasso, un fiato al sassofono, uno strimpello al mandolino, qualche gorgheggio ed è “Tickle Toe” il brano di Count Basie del 1961, con i virtuosismi al piano di Raphael Gualazzi, tutto in perfetto stile jazz dell’epoca, ad aprire il Love Life Peace Tour 2016. Un’atmosfera vintage, suoni perfetti e precisi di ancient ambient, ma elegantissimi e carichi di energia per “Lotta Things” l’ultimo singolo della recente produzione del 2016 che da il titolo al tour e al disco appena uscito. Dal medesimo accordi, musica e parole per “Figli del vento” cantato a doppia vocalità, il ritmo vira al reggae con “A three second breath” da Reality and Fantasy del 2011.
Raphael non è di molte parole, preferisce suonare per il suo pubblico felice di essere all’auditorium di Roma e nella capitale. Se la bocca serve a cantare, il pianoforte parla con i tasti bianco neri, meglio che in un qualunque discorso con il brano che da il titolo al lavoro appena citato. La ricerca musicale di Gualazzi nel campo dei generi jazz, blues e fusion, con uno stile personalissimo attualizza la tradizione con le influenze più innovative di artisti eclettici come Jamiroquai e Ben Harper e porta alla canzone titolo dell’ultimo cd “Love Life Peace” e in una session fiati e cori che ballano e cantano sulle note di “Pinzipo”.

In abito nero con il collo della giacca a bordi giallo, scarpe da ginnastica bianche e calzini a scacchi bianco nero e camicia azzurro fondo e una band di polistrumentisti di altissimo livello, al piano con una forza e una bravura indescrivibile prosegue con “I wanna be like you (The Monkey Song)” una canzone scritta nel 1967 da Robert e Richard M. Sherman per il lungometraggio animato della Disney “Il libro della giungla”. Ed ecco l’hit dell’estate scorsa “L’estate di John Wayne” e “Buena fortuna”, per la quale, alla versione d’album in duetto Malika Ayane, sostiuisce le sue peculiarità vocali e di musicista perfetto e ritmato qual’è.
“Right to the dawn” e “Splende il mattino” i brani che esaltano la bravura al piano senza nulla togliere alle capacità attoriali. Entra con lanterna in mano e saltellando e in gags con il bassista Pete Glenister in perfetto stile anni ’20 un pò orso buono, un po’ Jerry Lewis intona il brano “Mondello beach” ma il piano lo attende per completare il grande momento di cabaret all’americana che lo caratterizza.
“Seventy days of love” celebra la versione internazionale di Happy Mistake del 2013 e la caratura davvero oltreoceano dell’artista. Il brano successivo di recente produzione “All alone”, la esalta. Sembra di scorrere l’album delle foto e dei ricordi di qualche zio cultore di musica, ma parliamo di un eclettico artista dei giorni nostri, perfetto interprete di sonorità e sentimenti oltraconfine. Un voce da basso e l’omaggio a Chuck Brow per il brano “Run Joe” del 1974.
E se fin qui è solo l‘aperitivo del concerto,comunica con fare ironico il musicista, con pianoforte sempre al centro palco ecco “Quel che sai di me” del 2016. “Let him live” è quello che dice la moglie tradita del marito perché nessuno sa com’è, lo racconta e lo canta attingendo al successo di Jonathan Davis del 2014. Il momento sanremese è quello adatto a salutare il pubblico “Sai (ci basta un sogno)” dalla kermesse del 2013 e “Follia d’amore” del 2011 che gli valse il primo posto nella categoria Giovani, e il secondo posto lo stesso anno all’Eurovision Song Contest e l’ingresso ufficiale nel panorama musicale internazionale, grazie alla buona intuizione di Caterina Caselli e della Sugar Music.
Non basta e il pubblico chiede che l’artista gli regali altri brani. Un assolo al piano “At Last” una canzone scritta nel 1941 da Mack Gordon e Harry Warren per la colonna sonora del film Orchestra Wives con George Montgomery e Ann Rutherford. Passi di charleston e buffo, ma simpatico come è nello stile saloon, il cantante calamità l’attenzione su di lui e sul palco per “Lady “O“” del 2011 e sui versi “….nella vita puoi cambiare nome ma l’anima no….” Raphael è costretto a sparare i coristi e session fiati, perché ormai in loop, non smettono più di cantare, ballare e suonare, con tre colpi di grancassa inflitti dal batterista Mauro Beggio.
Rimasto senza coro l’aiuto non può che venire dalla platea e come in un anima incarnata in essa, giocando con i versi del brano musicale eseguito, rieccoli i tre Ferdinando Arnò (co-produttore di Follia d’amore), Vince Mendoza,il trombettista Fabrizio Bosso riemergere nella medesima ineccepibile performance dal fondo parterre. Il saluto alla band veramente eccelsa e un altro bis “Un mare in luce” eseguito magistralmente al pianoforte per un applauso senza fine a un concerto elegante, di classe, ironico e curato in tempi e precisione. Tanti gli strumenti meno usuali in un concerto POP, come il contrabbasso , il mandolino, l’ukulele, il flauto traverso e: luci ed effetti moderni belli, ma essenziali e mai preponderanti all’arte che è on stage.