Vinicio Capossela è un artista che non smette mai di sorprendere, di evolvere, di esplorare nuovi territori musicali e letterari. Il suo ultimo album, “Tredici canzoni urgenti” (Targa Tenco 2023 come Miglior Album) ne è la prova: un lavoro intenso, profondo, a tratti provocatorio, che affronta temi come la guerra, la resistenza, la violenza, la solitudine, la speranza.
Il palco del Teatro Duse di Bologna, che all’interno delle celebrazioni dei 200 anni del teatro bolognese, ha ospitato il concerto Con i tasti che ci abbiamo il 6 e il 7 novembre, si trasforma in una sorta di laboratorio creativo, dove Capossela e la sua band sperimentano sonorità diverse, passando dal rock al blues, dal folk al jazz, dal tango e al cha cha cha. Ogni canzone è un mondo a sé, una storia da raccontare, una sfida da affrontare.

Accompagnano Capossela sul palco Alessandro ‘Asso’ Stefana alla chitarra, Andrea Lamacchia al contrabbasso, Piero Perelli alla batteria, Raffaele Tiseo al violino, Daniela Savoldi al violoncello e Michele Vignali al sassofono.
Il filo conduttore dello spettacolo è il tema della crisi, intesa in senso ampio: crisi ambientale, sociale, politica, esistenziale. Capossela si immerge nella realtà, con coraggio, ironia, e l’innata fantasia di sempre. Le sue canzoni sono denunce, ma anche richiami alla resistenza, alla presa di coscienza e alla ribellione. Sono canzoni civili, che esondano, come un fiume in piena, sul nostro tempo, sulle nostre contraddizioni, sui nostri sogni infranti e le nostre procrastinazioni.
Elmetto da soldato in testa, il concerto si apre con la canzone “Sul divano occidentale”, una delle tracce del suo ultimo album “Tredici canzoni urgenti”. Si tratta di una canzone ironica e critica sulla società occidentale, che vive in una condizione di passività, paura e conformismo, rappresentata dal simbolo del divano. Seguono i restanti brani dell’album, come “Staffette in bicicletta” un omaggio alle donne partigiane che durante la Resistenza hanno svolto il ruolo di staffette, portando messaggi, armi, viveri e informazioni tra i vari gruppi di combattenti, spesso in bicicletta, una carrellata emotiva di nomi oggi quasi dimenticati.
Tra le canzoni che hanno a che fare con le urgenze che l’artista ha dentro, ci sono brani che toccano importanti temi come la guerra in “Gloria all’archibugio”, le minacce del mondo esterno con “Il bene rifugio”, il consumismo e il cibo spazzatura di “All you can eat”, la violenza sulle donne in “La cattiva educazione” o l’innocenza perduta nella divertente “Cha cha chaf della pozzanghera”.
In una sorta di teatro canzone, come negli ultimi anni siamo abituati a vederlo, racconta aneddoti, amplifica il significato dei testi, cita autori che lo hanno ispirato, come Ariosto che ritroviamo in “Ariosto Governatore”, una canzone sulla vita del grande poeta italiano autore dell’Orlando Furioso, che fu anche governatore della Garfagnana, dove dovette affrontare briganti e frustrazioni portando il poeta a desiderare di tornare presto “sulla luna” alla sua follia creativa.
Capossela non si limita a riproporre le canzoni del disco, ma le arricchisce con brani tratti dal suo vasto repertorio come gli effervescenti “Che cos’è l’amor”, “Marajà” o “L’uomo vivo”.
Il risultato è uno spettacolo coinvolgente, emozionante, divertente, che mescola musica, teatro, poesia e una sorpresa, come quella di Jimmy Villotti, ospite d’onore della serata del 6 novembre, che è intervenuto sul palco partecipando ad un paio di pezzi.
Il grande chitarrista che ha accompagnato molti altri artisti italiani, su tutti Paolo Conte, oltre a Gianni Morandi, Francesco Guccini e Lucio Dalla, è stato un importante punto di partenza e un contributo inestimabile per la carriera di Capossela, ha collaborato nei primi due album, “All’una e trentacinque circa” e “Modì”, arricchendoli con il suono unico della sua chitarra.
Il concerto si conclude con il brano “Con i tasti che ci abbiamo”, la canzone che dà il titolo all’album, un manifesto artistico e umano, che esprime la volontà di andare avanti, nonostante le difficoltà e le paure, di creare e fare la nostra parte nella società.
Lontano dalle sonorità e dall’estetica di meravigliosi album come “Canzoni a manovella” o “Marinai profeti e balene” (per citarne solo due), mai come in questo album e concerto emerge la critica e la vena politica di Vinicio Capossela, che sembra scendere tra la gente, con brani più sociali e meno poetici, e come l’immagine martirizzata del manifesto o il cristo di legno de “L’uomo vivo”, oltre a inneggiare alla gioia, invita al risveglio delle coscienze, all’indignazione e alla resilienza.