[rating=3] Una Carmen estremamente sensuale quella andata in scena al Teatro del Giglio di Lucca per la coproduzione tra le Fondazioni del Teatro Goldoni di Livorno, del Teatro Verdi di Pisa e del Giglio di Lucca.
L’opera, ripresa nella sua versione originale di opéra-comique, con i dialoghi parlati tra un pezzo e l’altro (ricordiamo che i suoi librettisti furono Meilhac e Halévy, gli stessi che il cui esprit aveva reso così indiavolata l’operetta di Offenbach), è la stessa delle prime versioni parigine caratterizzate da scarso successo, che portarono entro i tre mesi alla morte di Bizet.
Un’opera che porta al centro la figura di una donna contemporanea e prorompente, in un leitmotiv wagneriano dalle tinte drammaticamente mortali, una forza della natura la cui linfa vitale è una sete incondizionata di libertà. Carmen vive intensamente il presente, ama con passione, canta “L’amour est un oiseau rebelle “ e ancora “Libre elle est née et libre elle mourra”. Da questa consapevolezza va incontro al proprio drammatico destino, perfettamente incarnato dai panni di Annunziata Vestri, una Carmen dalle tinte contraltili, ben calata nel personaggio al contempo di femme fatale e vittima, che si muove con disinvoltura sulla scena, seppur stretta in jeans attillati rosso sbiadito poco adatti, protagonista indiscussa che richiama una carnalità tutta mediterranea nella scena dello spogliarello.
Mickael Spadaccini è un Don José inizialmente timido e inesperto, che si lascia abbagliare dalla donna, attrarre dalla sua sensualità, fino a sprofondare nella più cupa e violenta gelosia, dando il meglio negli accenti di forte drammaticità, per risultare meno convincente nei toni più morbidi del personaggio.
Felicemente narcisista e ironico Escamillo di Paolo Pecchioli, ben impostato e sinuoso nell’euforico Toréador. Una vocalità poco sicura per la Micaëla di Valeria Esposito, dai colori sfibrati e non del tutto calati in quel sentimentalismo francese contraltare alla selvaggia passionalità della rivale.
La regia di Francesco Esposito appare coerente nell’insieme, con punte di originalità nello spogliarello durante la danza della V scena dell’Atto II, ma che lascia perplessi e cede rovinosamente sul finale, troppo macchinoso nel pretendere la simulazione di una Carmen matador e un Don José inverosimile toro, fino ad un forzato suicidio della protagonista circondata da una folla silenziosa che disturba nel suo estremo e incoerente omaggio funebre, con rose bianche nel tentativo di evitare la banalità del rosso.
Le scene di Nicola Bruschi risultano dignitose nella loro semplicità, e proprio alla luce di una scenografia sostanzialmente statica risulta incomprensibile la scelta di una pausa tra il III e IV atto per passare l’aspiratore (considerando, oltretutto, i coriandoli festosi gettati ad apertura dell’ultimo atto!). I costumi non convincono nella loro atemporalità di poco gusto che raggiunge l’apice nel cappello alla Charlot della Carmen del III atto.
Ben preparato il Coro e molto attenta l’Orchestra della Toscana diretta dal giovane Carlo Goldstein, che ha sottolineato egregiamente i molteplici colori dell’opera.
Successo di pubblico e applausi per un teatro gremito e caloroso.