In attesa di assistere alle recite di Roberto Devereux di Gaetano Donizetti al Teatro Regio di Parma, abbiamo avuto il piacere di introdurci nella corte del teatro per incontrare le due regine del Belcanto italiano: Mariella Devia e Sonia Ganassi.
L’emozione di incontrare di persona Mariella Devia penso abbia superato di gran lunga le mie aspettative. Lungo la scala che ci accompagnava ai camerini nel retropalco, la voce di Mariella Devia già riempiva l’aria con la sua naturale perlescenza. Lo studio accompagna da sempre la sua vita artistica che l’ha resa intatta fino ad ora. Trovare nelle cronache casi di una longevità vocale che le sia pari è praticamente impossibile. Sia chiaro Devia, non è un “caso della natura”, semmai un caso della scienza vocale, perché tutto è dovuto ad un costante e continuo studio della tecnica che ancora oggi affronta tenacemente e con criterio. È vero, forse altre cantanti l’hanno superata quanto ad anni di carriera, vastità di repertorio, ma si può affermare che le condizioni con cui sono arrivate a fine carriera (per non dire a mezza carriera) non siano nemmeno da paragonare in confronto alla freschezza vocale che Mariella Devia tuttora piega al servizio della musica. Una donna che ha gestito benissimo la sua arte e che grazie alla sua grande sensibilità è arrivata ad affrontare un repertorio inizialmente quasi impensabile per lei. Spesso, e a torto, è stata definita una interprete tiepida ma lei sapeva di fare la cosa giusta. Essere cantanti, significa essere musicisti prima e artisti poi è questo lo sa molto bene…
D. Quanti anni di carriera sono?
M. (Sorridendo) Non mi conto! Dunque… ho iniziato nel 1973 quindi sono 43 anni!
D. Ed in tutti questi anni, quali sono stati passaggi chiave del suo percorso come artista?
M. Diciamo che ogni debutto è un passaggio, è qualcosa che ti arricchisce, che ti cambia. Sicuramente resta il fatto che io non abbia mai cambiato il repertorio restando sempre in ambito belcantistico però ho avuto un’evoluzione verso ruoli più impegnativi. Per esempio non canto più Lucia o Gilda nel Rigoletto. Sono comunque cambiamenti che avvengono secondo me con molta naturalezza.
D. C’è stato quel “qualcosa” che le ha fatto decidere di intraprendere questa “nuova” strada? L’ultima volta che ci siamo sentiti (22 anni fa n.d.r.) non aveva ancora cantato ruoli come Lucrezia Borgia ad esempio, cosa le ha fatto dire “mi spingo verso queste figure più drammatiche” come Anna Bolena, Imogene…?
M. Sì c’è stato qualcosa, ma in modo molto naturale perché non si può cantare tutta la vita solo determinati ruoli. Non ho voluto cambiare repertorio, nel senso che non mi sono messa a cantare – che so… – Puccini! Sono rimasta nel Belcanto perché mi piace, perché è adatto alla mia vocalità. Quello che è cambiato è stato il tipo di personaggio rimanendo sempre tra Bellini Donizetti, Rossini e Mozart.

D. Cosa le piace del Belcanto?
M. Mi piace la possibilità di esprimermi attraverso quella vocalità.
D. Per affrontare questi ruoli così impegnativi sia vocalmente che scenicamente, che tipo di lavoro c’è? Come ci si avvicina ad un personaggio come Norma o come questa Elisabetta nel Roberto Devereux?
M. Sicuramente inizia col cercare di sapere chi era storicamente Elisabetta o da che contesto storico viene estrapolata la figura di Norma; anche se poi non sono mai del tutto corrispondenti gli aspetti storici con quelli teatrali, è un lavoro interessante. Poi però Il vero approccio al personaggio avviene principalmente con lo spartito, ovvero con la musica. È attraverso quello che ha scritto Bellini Donizetti o l’autore del libretto, insomma con quegli accenti scritti così da loro, quei recitativi quei cantabili o quelle cabalette che costruisci il tuo personaggio. Poi serve uno studio costante della vocalità. Non si può sbagliare, ovvero non si può “cantar male” perché in Donizetti e forse in Bellini ancora di più la chiave per l’interpretazione è lasciata quasi tutta alla vocalità. Parole e musica non sono assolutamente cose avulse l’une dall’altra. Anzi quello che è scritto in musica serve a dare espressione alla parola, non possono essere separate, almeno secondo me.
D. Qual è l’aspetto tecnico su cui lavora continuamente?
M. Non ce n’è uno! E tutto insieme.
D. La respirazione…
M. Non cambia… Non c’è nessuna differenza rispetto al tipo di personaggio che si sta interpretando.
D. Per la coloratura, un approccio tecnico diverso rispetto alle arcate di fiato?
M. No, almeno per me. E’ sicuramente più difficile fare una frase lunga, un cantabile con alcune frasi lunghe come, mi ripeto forse, quelle di Bellini che non finisco mai, piuttosto che fare una scala di agilità su questo non c’è dubbio.
D. Quando, partendo dalla prima volta che apre lo spartito di un ruolo nuovo a quando lo sta cantando in scena, il personaggio le piace di più?
M. Che più mi piace non lo so, perché comunque arrivare in scena è sempre qualcosa che crea, almeno dentro di me dubbi, problemi… c’è sempre il divertirsi insieme ad una sorta di angoscia perché si deve arrivare là e dimostrare qualcosa. Il piacere c’è, perché è quello che ho scelto di fare e mi piace fare, quindi è in sé quello. Però che sia solo un divertimento no perché ogni volta è come iniziare da capo: nota per nota e pagina per pagina.
D. L’identificazione col personaggio quando arriva?
M. Identificazione, non arriva subito ma attraverso tante cose… “identificazione”… sarebbe meglio dire forse “interpretazione”, perché identificarsi con certi personaggi (ridendo divertita) è meglio di no… fortunatamente molti non mi somigliano!
D. Vale la legge del contrasto quindi?
M. Sì esatto! Mi diverto ad esprimere una cattiveria, mettiamo il caso di questa Elisabetta, che io non potrei mai provare. D’altronde aveva un potere che poche persone hanno avuto, lei era padrona del mondo alla fine. Questa cosa è molto interessante: cioè esprimere qualcosa che nella vita normale non faresti mai.
D. Un gioco..
M. Sì è un gioco, che è bello provare.
D. Cosa l’ha spinta a 16 anni a dire “faccio la cantante lirica”
M. Se non avessi avuto la minima idea di avere la possibilità non ci avrei pensato. Non avevo una gran voce, ho fatto l’esame di ammissione al conservatorio e l’iter è stato quello…
D. Ed ha avuto una sola insegnante, e questo l’ha aiutata?
M. Non riesco tanto a dirlo perché non ho mai provato l’esperienza contraria. Diciamo che ho studiato molto anche per fatti miei. Non sono uscita dal conservatorio perfetta, perché perfetti non si è mai, ma capivo molto bene quali erano i miei limiti, cosa dovevo fare. Ho studiato anche molto su me stessa.
D. Quali sono stati gli aspetti che ha dovuto curare di più?
M. Diciamo che prima di tutto ho dovuto aver cura della mia voce perché (sorridendo) non era questa enormità , per cui stata molto attenta al mio repertorio.
D. In effetti penso che la prudenza nella scelta dei suoi ruoli, sia una chiave di lettura della sua carriera…
M. Che poi i ruoli non sono stati pochi alla fine…
D. Vero, sono stati molti, però sempre affrancabili come tipologia, poi vi è stato un cambiamento nella scelta verso ruoli più impegnativi e adesso affianca questi con molta omogeneità nella scelta…
M. Sì, perché questa è proprio una caratteristica della mia vocalità non posso scegliere di cantare qualcosa che poi canterei male. Non sarebbe onesto… Poi alla fine non mi è mancato nulla perché a me piace cantare questo repertorio! E’ vero che ho cantato anche Stravinsky se per questo, ma ho sempre scelto comunque ruoli che mi divertiva fare.
D. Il ruolo più divertente?
M. Divertente in che senso? Ma non nel senso di “ruolo comico”… Perché ruoli comici non è che ne abbia…
D. Esattamente, divertente nel senso di essersi divertita nel farli…
M. Ah ok… Nel senso divertirsi per stare in palcoscenico e per cantare direi tutti e Norma è sicuramente uno di quelli, e anche Elisabetta nel Roberto ovviamente! Ammetto che in parallelo a questo “divertirsi” c’è anche la fatica di cantare questi personaggi che sono pesantissimi. Onestamente io che ho frequentato questo repertorio, ho fatto sempre dei ruoli che non finivano mai: entri in palcoscenico ed esci quando finisce! Non perché si dice ruoli belcantistici sono ruoli leggeri, sono faticosissimi perché sei sempre lì e devi cantare!
D. E che cosa! anche aggiungo io… Ma la tensione e la concentrazione in palco è sempre così alta, così tesa?
M. No, non sarebbe possibile, anche se sostanzialmente sì, per fortuna ogni tanto cantano anche gli altri allora sono un po’ meno tesa. A proposito, vedi tornando alla costruzione del personaggio, lo si crea anche con l’aiuto dei colleghi, il direttore d’orchestra ed il regista hanno la loro grande importanza. Lo scambio delle idee è importantissimo.
D. Registi… lei ha lavorato anche in produzioni molto particolari. Quando il lavoro con un regista è diventato particolarmente interessante?
M. Ce ne sono stati tanti! Anche con Alfonso (Antoniozzi, autore della regia di questo Roberto n.d.r.) ho fatto una Traviata anni Cinquanta che era bellissima, ne ho fatta un’altra con Vick in cui mi sono divertita moltissimo all’Arena, era contemporanea ed ero in minigonna… Con Pizzi abbiamo fatto tante cose insieme. Ci sono tanti registi con cui ho lavorato bene, l’importante è che non raccontino un’altra storia, poi l’ambientazione in sé mi interessa meno: se porto un costume anni Cinquanta anziché un vestito d’epoca non m’importa. Anzi oggi un vestito d’epoca in determinate opere può anche darmi fastidio… L’importante è che funzioni, che quello che “dico” sia aderente con quello che sto facendo. La regia deve tenere conto della musica e del testo. Raccontare una cosa “Perché mi piace, prendo spunti… ma poi faccio un’altra cosa…”, questo tipo di ragionamento non mi piace e non so quanto questo possa aiutare a trovare altro pubblico. Comunque io penso che chiunque metta in scena un’opera oggi metta in scena qualcosa con una chiave di lettura vista nell‘Oggi; noi siamo persone che viviamo in questo tempo, nell’Oggi appunto, e questo influisce poi sullo spettacolo, non si può più fare quello che si faceva cinquant’anni fa.
D. E’ migliorato secondo lei il panorama italiano a livello artistico, o si deve ancora lavorare?
M. Lavorare non fa mai male, e il cercare di fare meglio non finisce mai, questo sempre… sicuramente ci sono bravi artisti, c’erano in passato e ci saranno sempre!
D. Lei insegna, ha fatto qualche masterclass?
M. Sto iniziando, sì.
D. Forse come domanda è prematura, ma, quando ascolta i ragazzi che studiano cosa cerca in questi allievi?
M. Cerco di capire qual è la loro natura e se riesco a trovare un modo per farli cantare con facilità per esprimersi. Con le difficoltà tecniche è difficile anche esprimersi… Queste sono considerazioni che non si fanno con gli strumentisti perché è implicito che un musicista abbia una tecnica per potersi esprimere, ma noi cantanti, solo perché cantiamo no?
D. Ovviamente è obbligatoria la tecnica per cantare…
M. Direi! Altrimenti non si è degli artisti.
D. Quindi per costruire una carriera come la sua è lo studio la base fondamentale…
M. Secondo me sì, proprio per stare in palcoscenico con più serenità.
D. Quanto studia una cantante come Mariella…
M. E’ impossibile quantificare, non puoi programmare sei ore di studio, dipende… a volte si è più stanchi. Diventa però come un allenamento fisico per uno sportivo perché alla fine è sempre il fisico, oltre alla testa, che viene messo in gioco. Direi piuttosto che deve essere costante la cosa. Non è possibile studiare, un po’ sì un po’ no.
D. E’ contenta di questi ultimi ruoli che sta facendo?
M. Sì molto, e mi sto divertendo, ho appena fatto Norma, adesso faccio Roberto e poi Ancora Norma a Venezia poi… (e qui era da leggere un simpatico labiale… )
D. Beh poi ci sarà l’impegno a Bergamo col Donizetti Festival, il concerto
M. Sì darò concerti, anche uno a Madrid e a Valencia.
Scivolo fuori dal camerino della prima regina è già per le scale si sente la voce della seconda. Sonia Ganassi affronta da 28 anni il repertorio belcantistico con qualche incursione in quello francese e verdiamo ottenendo sempre ottimi risultati. Compagna di Mariella Devia in molte produzioni, legata a lei da una sincera stima, la troviamo qui a Parma nei panni di Sarah. Sonia Ganassi si distingue sempre per interpretazioni di prim’ordine.
Così ripassando una carriera vasta viene da chiedere subito cosa la soddisfa di più della sua bella carriera?
S. Sono contenta ho raggiunto tutti i traguardi che mi ero prefissata, ho cantato nei teatri più importanti del mondo con grandi direttori. Alle somme sono molto soddisfatta: il teatro e la musica mi hanno dato tanto, ma io ho dato tanto alla musica indubbiamente! Quando dico “tanto” intendo tanto del mio tempo dei miei affetti (perché è difficile conciliare tutto…). Chiaramente sono contenta di quello che ho fatto. Adesso la cosa che voglio è continuare a cantare con la gioia che provo dal primo giorno che l’ho fatto. Voglio continuare a fare quello che mi piace e che so fare bene.
D. Le faccio la stessa domanda che ho fatto a Maierlla; quando affronta un ruolo nuovo da che apre la prima pagina dello spartito a quando lo sta cantando in scena, qual è la parte che le piace di più?
S. Quello che mi piace di più è lo studio. A me piace ancora studiare tanto e la cosa mi sorprende perché, tempo fa, immaginavo che dopo tanti anni di carriera – considerando che canto da 28 anni avendo iniziato che ero molto piccola – mi sarebbe venuto a noia studiare. Invece ancora ora mi piace tantissimo e no riesco a dirle di tutto questo periodo il momento che mi piace di più. Posso dirle ovviamente che amo di meno l’inizio: in cui devi proprio “decifrare” le note, forse il più “sterile”: devi individuare tutti gli intervalli, le note e mettertele in testa. Dopo, il lavoro diventa creativo perché si comincia a cantare, come si dice “lo metti in gola” e nel frattempo scopri tante cose della tua parte: provi un fraseggio, ne provi un altro e per fare questo lavoro ci vuole molto tempo. Mi piace studiare quando c’è il tempo per farlo quindi, al contrario quando devo fare le cose in fretta e quindi devo fare un riassunto di tutto perché c’è poco tempo ed è tutto finalizzato al dover iniziare le prove o ci sono altri motivi, così mi piace meno. Invece studiare con calma è sempre molto bello e gratificante per me.
D. Ci sono dei ruoli che ha studiato indipendentemente dagli impegni?
S. Confesso: no. Perché la carriera fino ad ora è stata parecchio densa di impegni e quindi non ho potuto studiare solo per il piacere di farlo. Ci sono dei ruoli che ho studiato e che poi non ho fatto perché in fase di lavoro mi sono accorta che non erano quello che credevo. Per esempio il Trovatore, che ho iniziato a studiare ma che poi non ho fatto perché in quel preciso momento non era adatto a me. Ma ruoli che ho studiato solo per il mio piacere… non ancora ma ci saranno. Anzi, lo sto già facendo i questo periodo che non dico… (poi con un bel sorriso soddisfatto e dopo una breve esitazione) Anzi no lo posso anche dire: sto studiando la Lady (Macbeth) perché vorrei debuttare in quel ruolo! E’ una cosa che voglio proprio fare. Tanti mezzosoprani lo hanno affrontato. E’ vero è un ruolo molto drammatico, ma ho quasi cinquant’anni e ventotto anni sulle spalle di carriera. Credo che sia giunto il momento nella mia vita artistica che POSSO osare e POSSO permettermi anche di sbagliare perché no? Io ho sempre fatto scelte molto ponderate e sono sempre stata molto attenta alle scelte che ho fatto. Forse del mio passato questo lo cambierei e mi prenderei un po’ meno sul serio, mi butterei un po’ di più: quindi adesso questo è un ruolo che mi sento di fare. Considera che quest’anno mi aspettano altre Cavallerie e anche Santuzza è un ruolo che appena l’ho annunciato tutti ci sono rimasti, ma è un ruolo che mi riesce bene, chiaramente portando la mia qualità e le mie caratteristiche vocali ovviamente. Io dico sempre che non è che diventi la Cossotto se canto Amneris, sono sempre la Ganassi, me è un personaggio che mi sta benissimo.
D. Io penso che quando un grande artista affronti un ruolo ha sempre la sua da dire e la lascia detta…
S. Sì, certo. E’ vero che dobbiamo sempre fare i conti, non parlo tanto di limiti, ma piuttosto con le caratteristiche che la nostra voce ha. La voce non è un violino con cui puoi fare tutto -anche se anche lì ci sarebbe da dire… – è uno strumento che ha una sua fisionomia: canti così perché sei fatto così. Dopo con la tecnica, quello che hai imparato negli anni, l’esperienza puoi mettere la tua voce al servizio di repertori che non sarebbero forse tuoi d’elezione.
D. Appunto, la tua voce… Una voce anfibia come la sua la porta ad affrontare ruoli sopranili e mezzosopranili, alcuni anche quasi contraltili penso al Romeo dei Capuleti… quando affronti un ruolo con una tessitura più acuta tendi a muoverti poi sempre in quell’ambito? Come ti gestisci?
S. Sì certo… a parte che le mie incursioni in ruoli molto bassi sono state pochissime specie in ambito operistico. A livello concertistico ho fatto tante cose anche più basse, e anche il Romeno che nominava prima in realtà è un ruolo acuto, ha delle frasi basse ma in sé è acuto come ruolo. Io mi muovo nel repertorio di mezzosoprano acuto. I miei ruoli dei primi 15 anni sono stati Barbiere e Cenerenola e poi tutto il Donizetti e Bellini il Rossini serio dei ruoli “Colbran” che ho fatto hanno una tessitura abbastanza omogenea è per questo che qualche incursione in ruoli prettamente sopranili adesso ci sta. E’ vero però quello che diceva, tra una produzione e l’altra cerco di non fare salti troppo grandi perché la voce va trattata bene insomma.
D. In scena dà proprio l’idea di starci benissimo, qual è il ruolo in cui si è divertita di più?
S. Amneris! Assolutamente Amneris senza ombra di dubbio, la scena del giusdizio è incredibile! Poi anche Ermione perché è un ruolo bellissimo e la scena finale, come l’avevamo concepita a Pesaro con Daniele Abbado sembrava quasi una scena di pazzia.
D. Quindi l’emozione più grossa: Amneris?
S. Beh così la cosa si complica perché la cosa bella è che io ci credo sempre davvero molto nei miei personaggi. Ci sono ruoli che mi piacciono di più e altri meno, ma quando li vivo in scena mi piacciono, finisco per crederci molto e mi diverto nel momento in cui li faccio. Poi d’impulso le ho fatto il nome di quei due personaggi, però… per esempio di Verdi amo di più Amneris dal punto di vista del personaggio e scenico che Eboli per confrontare due ruoli che ho cantato già abbastanza. Poi mi è piaciuto fare tantissimo Santuzza, anche se l’ho cantato solo una volta. Ma anche le mie Cenerentole le ricordo con tantissimo affetto; la stessa Adalgisa è un personaggio che ha una sua magia, è vera poesia. Quindi sono tanti…
Alla fine ho posto ad entrambe la stessa domanda.
D. A 150 anni di distanza, oggi Rossini per lei è…?
D. E’ sempre quello che era, sempre moderno; secondo me è attualissimo sempre. Diciamo che è da lì che è partito tutto, o meglio voglio dire… non è che Verdi non conoscesse Rossini per esempio… In una parola Indispensabile ancora oggi.
S. Per me Rossini resta il più grande compositore del primo Ottocento italiano, penso sia un Genio. A parte la soddisfazione che mi ha dato cantare i suoi personaggi in scena, da musicista posso dire che Rossini sia il più grande dei tre: Rossini, Bellini e Donizetti. Anche se risulta sempre antipatico forse dire questo. Amo molto il Rossini serio e lo canterei ancora molto volentieri come ad esempio Ermione, ma il Barbiere e altre sono il più bel ricordo dei miei primi quindici anni di carriera. Posso dire che proprio Cenerentola è il mio più dolce ricordo.
Questo per darvi appuntamento alla prossima sorprendente intervista tutta rossiniana.