[rating=4] Il Convitato di Pietra di Giacomo Tritto è andato in scena, sabato 14 novembre 2015 in una Pisa protetta da Polizia in tenuta anti sommossa che per quasi tutta la giornata ha dovuto attenzionare i dimostranti di due manifestazioni, nate con ogni probabilità con le nobili intenzioni di celebrare le vittime degli attacchi terroristici a Parigi, ma scivolate poi in contestazioni che poco avevano a che fare con la parola PACE.
Fortunatamente il Teatro Verdi di Pisa non ha avuto nulla a che fare con questi contestatori e, anzi, è stato il centro di due adorabili storie.
La prima riguarda la piccola Anne che, svegliandosi sabato mattina ha visto sulla faccia dei suoi genitori una forte preoccupazione che lei non capiva – non poteva capire – e che trovava totalmente fuori luogo visto che di lì a poche ore sarebbe andata all’Opera. Anne, con il suo sorriso disarmante, li ha convinti che non c’era alcun motivo ad avere timore a chiudersi in un teatro con altra gente; lei era sicura che avrebbero passato una bellissima serata e così è stato.
Il primo protagonista della serata, suo malgrado, è stato il Presidente della Fondazione Teatro di Pisa. Il dott. Giuseppe Toscano, visibilmente commosso, ha tenuto un accorato discorso dedicato a quelle persone che, ventiquattro ore prima, andando nel teatro della loro città, mai avrebbero pensato che sarebbero state vittime della follia umana. Toscano ha fatto appello al senso civico, al profondo valore di parole come valori e tradizioni e ha concluso il suo intervento invitando gli artisti sul proscenio per un minuto di silenzio [rotto soltanto da qualche suono proveniente dal palchetto della piccola Anne che continuava a non capire perché tutti fossero così tristi in una giornata così speciale per lei] e citando le parole di Papa Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura!”
Tradizione è stata la parola chiave anche del regista Renato Bonajuto che, ha portato in scena questo piccolo capolavoro del compositore altamurano Giacomo Tritto, che è “il primo musicista, di cui si abbiano fonti certe e documentate, a trattare il tema del mito di Don Giovanni”. L’intento di richiamare sia la Commedia dell’arte, sia la macchineria teatrale barocca è ottimamente riuscito grazie alle suggestive retroproiezioni, al siparietto di tulle che ha scandito i cambi di scena e all’ottima Prova del giovane baritono Daniele Piscopo nei panni di Pulcinella, che in questa versione del “Don Giovanni” sostituisce il mozartiano Leporello e assurge al ruolo di deus ex machina delle avventure amorose del suo “padrone”.
Il tenore Vladimir Reutov risolve con difficoltà il pur complesso ruolo di Don Giovanni: dopo un avvio alquanto incerto si riscatta con una prestazione in crescendo, penalizzata purtroppo da una dizione alquanto approssimativa. Il promettente baritono spagnolo Javier Landete veste invece i panni del Marchese Dorasquez e si distingue per omogeneità timbrica e per presenza scenica. Il ruolo di Bastiano è affidato a Marco Innamorati, basso dalla voce morbida e ben scandita, dipinge un personaggio che risulta frizzante e giustamente spiritoso, ma senza risultare mai oltremodo caricato. Completa il cast maschile il basso Piotr Wolosz.
Il cast femminile mette a referto invece quattro ottime prestazioni: bravissima Gelsomina Troiano, soprano dal timbro cristallino unito ad un’innata verve scenica, è tra le assolute protagoniste della serata con la sua Lesbina. Ottima anche la Donna Anna di Natalizia Carone, un soprano dalla voce raffinata che s’è contraddistinta per la purezza stilistica. Elisabetta Farris, calata perfettamente nella parte di Donna Isabella, caratterizza la sua prova grazie a una voce dotata di uno charme timbrico e per dei filati davvero pregevoli. Completa il cast femminile la buona prestazione di Valentina Iannone che interpreta Chiarella, la fedele servetta di Donna Anna in maniera spiritosa e popolaresca comme il faut.
Unico neo registico della serata sono state le luci di “mezza sala” durante l’aria di Donna Isabella. Una scelta poco felice in relazione agli attentati del giorno prima: l’accensione delle luci durante l’aria ha causato qualche secondo di smarrimento nel pubblico che non capiva se c’era un “problema” in teatro o se era un effetto voluto. Ritengo che potesse essere evitato.
Sul podio il felice ritorno a Pisa del M° Carlo Ipata che, a capo dell’ottima Orchestra Archè, offre una lettura limpida e puntuale della partitura.
Applausi copiosi e pienamente convinti, pur differenziati per i vari ruoli, sono fioccati al termine dello spettacolo a sancire un pieno successo di questa produzione che ha come unica pecca, se così si può definire, quella di offrire al pubblico pisano una sola recita di quest’ottima produzione; ma il responsabile in questo caso è da ricercarsi al di fuori delle mura del Teatro, ossia ai famigerati e sempre più esigui contributi del FUS. Ancor più lodevole, in questa ottica, la volontà della Direzione Artistica, affidata al M° Marcello Lippi, di realizzare “Una gigantesca follia. DonGiovanniFestival”: un’occasione sia per musicologi sia per semplici curiosi di un ascolto comparativo che, nell’arco temporale di tredici mesi, ha presentato ben otto opere, di differenti compositori, legate dal fil rouge della storia del grande seduttore.
Note di costume
In relazione a quanto detto dal M° Muti nella lezione-show tenuta al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano il 5 novembre scorso:
“La società è piu’ visiva che uditiva, adesso i direttori vanno vestiti da indiani – dice Muti – si cambiano durante i concerti, indossano anelli”. E il frac, “sta quasi scomparendo. Potrebbe essere una buona cosa, ma almeno bisogna presentarsi in modo decoroso. E’ una questione di rispetto per la musica”.
In considerazione di ciò, e del commosso ricordo delle vittime di Parigi tenuto, come già scritto in precedenza, dal Presidente della Fondazione Teatro di Pisa, forse sarebbe stato più appropriato e doveroso un frac per il M° Ipata piuttosto che una semplice maglia nera.