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I pescatori di perle, primo capolavoro di Bizet

I pescatori di perle di Georges Bizet aprono la stagione del Regio di Torino. Un Oriente fiabesco nel nuovo allestimento di Julien Lubek e Cécile Roussat

Un raffinato gioiello riportato alla luce, I pescatori di perle di Georges Bizet, inaugura la stagione 2019-2020 del Teatro Regio di Torino, in un nuovo allestimento di Julien Lubek e Cécile Roussat, coppia di artisti francesi che già nel 2015 incantò il Regio con uno straordinario Didone ed Enea.

Il primo capolavoro di Bizet, snobbato alla prima rappresentazione al Théâtre Lyrique di Parigi nel 1863 e assente da Torino da 60 anni, rimarrà in scena per cinque repliche fino al 20 ottobre e per la prima volta sul palcoscenico del Regio in lingua originale francese.

Nell’esotica isola di Ceylon il pescatore di perle Nadir e il capo villaggio Zurga rinsaldano il patto di amicizia che li lega in modo indissolubile, ma l’arrivo sull’isola della magnetica sacerdotessa Leïla di cui sono entrambi innamorati incrina il loro sodalizio. Come in una favola saranno la lealtà dell’amicizia e l’amore a trionfare con un lieto fine, inaspettato trattandosi di un’opera lirica. Se nell’Ottocento i francesi ignorarono l’opera per la debolezza della trama, giocata sul consueto triangolo amoroso tipico del melodramma ottocentesco, gli italiani ne furono sedotti per l’abbondanza di idee melodiche dalla cantabilità mediterranea quasi in stile belliniano.

I toni carezzevoli e l’eleganza dell’orchestrazione della partitura composita, dal punto di vista strumentale e timbrico, trasportano il pubblico nelle sensuali ed avvolgenti atmosfere di un Oriente remoto grazie alla sapiente direzione di Ryan McAdams, elegante bacchetta che già quattro anni fa guidò a Torino una serie di concerti dedicati all’esotismo. McAdams si è già misurato con la direzione dei Pescatori nell’esecuzione in forma di concerto del 2015 alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI.

La magica sinergia tra musica, arti visive, danza, proiezioni, movimenti e illusionismi è merito del duo Julien Lubek e Cécile Roussat che dell’allestimento hanno curato tutto: regia, scene, costumi, coreografia e luci. Un sodalizio artistico che, prolifico dal 2000 e nato in seno alla scuola per mimi del grande Marcel Marceau, mostra tutta la sua originalità nella messa in scena eterea, fantasiosa e molto più dinamica rispetto alle consuete ambientazioni d’opera un po’ ingessate. Per realizzarla si sono ispirati all’universo delle miniature indiane i cui colori accesi, che richiamano i sari delle donne indiane, diventano vero e proprio linguaggio, simbolo degli stati d’animo dei personaggi. Ora miniature luminose e brillanti nelle scene più passionali, ora più ombreggiate e cupe nelle scene più intimistiche. E anche il popolo in qualche modo fa parte della scenografia, anche perché in quest’opera l’impatto musicale del coro, ben istruito da Andrea Secchi, è fondamentale, soprattutto nel finale dell’atto II, una delle pagine più interessanti di tutta la partitura, quando riversa tutta la sua indignazione su Nadir sorpreso insieme con Leïla.

Ne I pescatori l’impegno vocale è stato massimo per i vocalismi, spinti tutti sui registri più alti e Hasmik Torosyan è all’altezza di questi slanci dimostrandosi anche un’ottima interprete nei panni della sacerdotessa Leïla. Il giovane soprano armeno torna al Regio dopo la bella prova nei panni di Amina (La sonnambula) della scorsa Stagione dimostrando di padroneggiare un ricco e vario repertorio di primedonne d’opera. Non proprio all’altezza come peso vocale il tenore francese Kévin Amiel, nei panni di Nadir, cui spetta la romanza più famosa dell’opera Je crois entendre encore, grande banco di prova per qualsiasi tenore, per chi ha in mente l’insuperabile interpretazione di Beniamino Gigli, ma che Amiel ha affrontato in modo dignitoso. Zurga è interpretato dal bravo baritono Pierre Doyen che ha dovuto sostituire all’ultimo Fabio Maria Capitanucci, indisposto. Ha il nerbo che gli si conviene il basso Ugo Guagliardo nei panni del gran sacerdote.

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