Le stagioni liriche dei teatri emiliani stanno davvero raggiungendo l’apice. Le produzioni che quest’anno hanno messo in palinsesto si stanno dimostrando ai vertici per qualità artistica ed intelligenza di proposta. Ora che queste stagioni stanno volgendo al termine si può già cominciare ad abbozzare qualche bilancio che non può che essere più che positivo al netto di una varietà di proposte eterogenee e di grande fascino; di cast nel complesso sempre ottimi e con punte di vera eccellenza; produzioni che pur nel contegno delle spese, per altro intelligentemente spartite tra i teatri di Reggio Modena Piacenza e Ferrara, hanno saputo creare spettacoli intelligenti di gusto eccellente. Insomma davvero si aspetta con ansia l’uscita del prossimo cartellone intanto che ci si gode gli ultimi titoli di primavera.
E tra i titoli primaverili di questa stagione lunga e affascinante, i Teatri di Reggio Emilia in collaborazione con Piacenza e Modena hanno portato in scena niente meno che La Gioconda. Opera che presenta più di un problema: una trama convulsa, masse corali da gestire nel continuo entrare e uscire di scena, la vocalità pesantissima cui sono chiamate le voci, e per ultimo la psiche dei personaggi non sempre lineare. L’unico modo per ottenere il massimo da questo testo di Boito e Ponchielli è quello di dargli credito e crederci fino in fondo. E nel creare questa Gioconda tutti ci hanno creduto al massimo.
La regia di Federico Bertolani, le scene di Andrea Belli, i costumi di Valeria Donata Bettella e le luci di Fiammetta Baldiserri hanno creato uno spettacolo tradizionale e sobrio. Bellissimi i tableau vivant ispirati alla pittura post-impressionista e ricreati all’aprirsi della tela ad ogni inizio atto e ottimo l’utilizzo del controscena che completava la narrazione arricchendola di particolari inediti ma senza appesantire la trama. Forse sarebbe stato opportuno in alcuni punti del dramma, si veda ad esempio il duetto tra le due donne nel secondo atto, un lavoro scenico più dettagliato con gli interpreti aiutandoli a mantenere una tensione psicologica costante cercando una “verità” nel gesto. In ogni caso lo spettacolo è ottimo, oltre che visivamente centrato.
Sul versante musicale penso che si sia avuto il meglio che si potesse pretendere da un titolo come La Gioconda. La direzione di Daniele Callegari si è dimostrata ineccepibile, dinamicissima e mai auto-referenziata. I colori orchestrali erano serviti al meglio e spesso il connubio tra ciò che si sentiva e ciò che si vedeva raggiungeva livelli poetici. Direttore quanto mai sensibile dimostra ogni volta di saper dirigere i cantanti verso un taglio interpretativo e non solo di accompagnarli. Non ci si annoia mai, il gesto è asciutto e dinamico accompagnato da una vasta sensibilità d’animo che emerge generosa dalla buca. Conseguire questi ottimi risultati non sarebbe stato possibile senza l’eccellente appoggio dell’Orchestra regionale dell’Emilia Romagna, il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, per altro molto ben istruito da Corrado Casati, nonché le voci bianche del Coro Farnesiano di Piacenza ammaestrati da Mario Pigazzini.
Il cast era indubbiamente dominato da Francesco Meli, tenore che debuttava, attesissimo, nel ruolo di Enzo Grimaldo. La grande esperienza raccolta ormai nei più prestigiosi teatri lo ha supportato aiutandolo a creare un personaggio efficace scenicamente quanto musicalmente. La voce bellissima è piegata al servizio di una tecnica che con gli anni si è via via perfezionata. L’interpretazione è sempre sorvegliata e senza la benché minima ombra di sbavatura. Il suo Cielo e mar è stato accolto trionfalmente dal pubblico in sala. Accanto a lui brillava luminosissima la stella del giovanissimo soprano spagnolo Saioa Hernàndez che ha siglato una prova eccellente nel ruolo della protagonista. Il timbro della voce è caldo, vellutato, e la tecnica solida le permette di mantenere la voce omogenea anche nei frequenti affossi nel registro grave, segno di un’ottima gestione del famigerato registro di petto di cui saggiamente non abusa ma che costantemente mescola alla maschera illuminando tutta la gamma. Gli acuti ci sono tutti e anche se nella nostra recita ne è mancato uno, davvero poco o pochissimo importa, poiché di fronte ad una interpretazione così appassionata non si poteva restare che a bocca aperta, specie nell’ultimo atto in cui diventa impressionante la partecipazione dell’interprete al personaggio. Ruolo”infinito” quello di Gioconda che la Hernàndez ha portato a termine compitando benissimo anche i passaggi di coloratura del finale.

Accanto a simili protagonisti si è dimostrata valida controparte il mezzosoprano Anna Maria Chiuri. La voce importante e brunita creava un ottimo contraltare a quella della protagonista. Sorvolando su alcune gutturalità nei gravi estremi, da cui sarebbe meglio starsene sempre più alla larga, risultano eccellenti tutti i passaggi lirici, anche quelli più scoperti, in cui risolve eccellentemente la propria chiave interpretativa. La Chiuri, mezzosoprano acuto dalla voce anfibia, sta dimostrando in questi tempi di saper creare personaggi vivi e di grande personalità che non lasciano mai indifferenti. Credibile nei panni della rivale ha giocato al meglio le proprie carte. Davvero un’artista singolare e intelligente che ultimamente sta dimostrando grande eclettismo e curiosità artistica.
Sebastian Catana nei panni di Barnaba ha dato nel complesso una buona prova. Non sempre l’emissione è a fuoco mentre scenicamente ha creato efficacemente un personaggio meschino e vigliacco. Nei panni de La Cieca risultava commovente Agostina Smimmero che pur giovanissima ha saputo creare una figura anziana toccante e tenerissima. La voce fresca dimostra tutte le sue belle caratteristiche di contralto autentico in questo ruolo, la scena “del rosario” risulta quindi convincente e ottimamente cantata. Ci auguriamo quindi di risentirla quanto prima in scena, visto che voci del genere sono rare e bellissime.
In un contesto simile stonava la prova “grigiastra” del basso Giacomo Prestia, Alvise Badoèro. Mentre di ottimo livello sono stati gli altri interpreti di contorno partendo dal Zuàne di Graziano Dallavalle e per concludere Nicolò Donini, Lorenzo Izzo e Simone Tansini.
Un accenno per concludere si deve fare all’ottima prova del corpo di ballo, Compagnia Artemis Danza, impegnato nelle difficilissime e rivoluzionarie coreografie studiate da Monica Casadei che hanno l’unica pecca di essere inserite in un contesto troppo tradizionale vista la loro prepotente modernità. Lo spettacolo perché funzioni bene è un’insieme di tante creatività che convergono tutte verso un unico obiettivo e qui eravamo in piena inversione di marcia rispetto a tutto il resto.
Alla fine della recita il pubblico non ha faticato ad essere caloroso ed entusiasta ed ha accolto tutti con viva partecipazione.