Dopo quarant’anni di assenza, Andrea Chénier di Umberto Giordano è tornato al Teatro del Giglio Giacomo Puccini di Lucca con una produzione fedele alla tradizione, capace di intrecciare il dramma personale e la tragedia storica della Rivoluzione francese, sotto la regia di Andrea Cigni e la direzione di Francesco Pasqualetti.
L’opera, ambientata tra il 1789 e il periodo del Terrore, trae ispirazione dalla figura storica di André Chénier, poeta francese realmente vissuto e vittima della ghigliottina nel 1794, pochi giorni prima della caduta di Robespierre. La vicenda, seppur romanzata, fonde passione amorosa e ideali politici, con una forza narrativa che rimane potente anche oggi.

Composta nel 1896, Andrea Chénier rappresenta il culmine della maturità artistica di Umberto Giordano e un punto di riferimento per il verismo operistico. La partitura unisce il dramma personale dei protagonisti al fermento di un’epoca di grandi sconvolgimenti, creando una fusione tra microcosmo emotivo e macrocosmo storico che continua a parlare al pubblico moderno.
Andrea Cigni ha scelto un approccio classico, costruendo una messa in scena allo stesso tempo funzionale e poetica, che unisce realismo e simbolismo. La regia ha privilegiato una narrazione lineare, dando risalto alle emozioni dei protagonisti e al contesto storico, senza ricorrere a eccessi stilistici. La scenografia di Dario Gessati accompagna l’evoluzione drammatica: dall’illusoria stabilità dell’aristocrazia, rappresentata con eleganza quasi pittorica, fino al caos visivo del collasso rivoluzionario. Questo progressivo disfacimento estetico ha trovato eco nei costumi di Chicca Ruocco, che hanno sottolineato il divario tra le classi sociali in collisione.
Sotto la bacchetta di Francesco Pasqualetti, l’Orchestra Filarmonia Veneta ha saputo cogliere le sfumature del linguaggio musicale di Giordano, restituendo tutta la potenza emotiva di una partitura che alterna lirismo struggente e slanci drammatici. Pasqualetti ha evidenziato con chiarezza la maestria del giovane Giordano, capace di equilibrare il verismo con una scrittura orchestrale di grande impatto. La direzione ha reso piena giustizia ai celebri momenti solistici – come l’aria “Un dì all’azzurro spazio” – senza mai sacrificare la coesione complessiva dell’insieme musicale.
Samuele Simoncini, nel ruolo del poeta Andrea Chénier, ha colpito per la forza vocale e la presenza scenica nei primi atti, eccellendo nei passaggi lirici grazie a un’emissione brillante e un timbro luminoso, che purtroppo è venuto a mancare in tronco proprio sul finale, nell’ultimo grande duetto con Maddalena. Federica Vitali, nei panni di Maddalena, ha convinto per la sensibilità interpretativa e la morbidezza del timbro, anche se le è mancato un guizzo nei passaggi più drammatici. Kim Gangsoon, nel ruolo di Gérard, si è distinto per la potenza vocale e per la capacità di restituire la complessità di un personaggio diviso tra ambizione e rimorso. Tra i comprimari, Shay Bloch (Bersì) e Alessandro Abis (Roucher) hanno offerto interpretazioni solide e coinvolgenti.
Eccellente la prova del Coro Arché, diretto da Marco Bargagna, che ha saputo incarnare con forza il tumulto del popolo rivoluzionario.
Una produzione che ha restituito l’intensità e la bellezza di un’opera iconica, accolta con calore dal pubblico in sala per l’ultima replica.