Nel cuore delle Langhe, laddove il Barolo cresce e la nebbia si fa musa, all’interno de Il Boscareto Resort & SPA a Serralunga d’Alba, prende forma, voce e sapore un sistema narrativo dall’impronta vegetale. La Rei Natura – due stelle Michelin – è il laboratorio gastronomico dove Michelangelo Mammoliti plasma un racconto che ha come protagonisti la terra, la memoria e una visione personale dell’alta cucina contemporanea.
Il suo percorso degustazione “MAD 100% Natura®” è un flusso, rigoroso nella tecnica, identitario nella filosofia, emozionale nel risultato. La struttura stessa del ristorante lo accompagna: tre sale, tre tempi narrativi, tre ambienti diversi – un prologo, un corpo centrale, un epilogo dolce – in un continuum studiato per stimolare e sorprendere i sensi.

Il sipario si alza nella prima sala, intima e teatrale. Si inizia scegliendo l’acqua da una carta dedicata, come fosse un vino. Dettaglio eloquente: optiamo per la Voss naturale, acqua norvegese purissima, quasi senza residuo fisso, servita nella sua bottiglia-cilindro iconica. È un’introduzione silenziosa alla filosofia della casa: la cura, qui, inizia da ciò che è invisibile. Quindi il benvenuto, sotto forma di amuse-bouche serviti con disinvoltura sartoriale accanto a un calice di Valentino Spumante Metodo Classico Brut 2007: uno spumante piemontese, oltre quindici anni sui lieviti, che racconta il tempo con la profondità di uno champagne millesimato. La bolla, austera e sottile, accompagna un gioco di bocconi che, più che stuzzicare, già delineano l’estetica della cucina di Mammoliti.
La dolcezza affumicata della melanzana in composta si appoggia su una tartelletta dal friabile equilibrio, mentre un sorbetto alle cime di rapa e broccoli, punteggiato da un fiore edibile, irrompe vegetale e pulito. La sapidità minerale del caviale si avvolge attorno a un samosa di porro e patata, riportando la mente a un comfort orientale. Poi la provocazione gentile di un cotechino d’anguilla affumicata e lenticchie, che pare omaggiare il Capodanno italiano con l’eco lontana dell’unagi. Infine, l’essenza del Mediterraneo in un boccone: ravanello fresco dell’orto e crema d’acciuga, amaro, iodato e croccante come una giornata di sole e sale.
Il viaggio prosegue nella sala principale, cuore scenografico e materico del progetto. Le grandi vetrate si aprono a 180° sulle vigne Batasiolo, creando un legame osmotico tra dentro e fuori. Il design firmato da Stefano Guidotti – con pezzi di Cassina, Baxter, Draga & Aurel – racconta una visione calda, mai autoreferenziale. Le pareti in terra cruda, i pavimenti in cotto posato a mano, i legni e i marmi raccontano una natura domestica e colta. Il passaggio alla seconda sala è come entrare nella scena madre di un’opera teatrale. La luce entra dalle vetrate, si posa sulle ceramiche artigianali e accompagna il pane: una focaccia alle erbe d’alpeggio, con intriganti note di cannella e melilotus, e una carta musica screziata di foglie di cappero. È qui che si celebra il rito dell’olio, elemento non solo gustativo, ma narrativo.
Due oli, due origini. Il primo, calabrese: MICU Fazari 1906, un blend di Ottobratica e Cassanese nato dalla storia di una famiglia agricola giunta alla terza generazione. Al naso, pomodoro verde, mela e un’eco mentolata; al palato, un velluto vegetale, che riporta alle origini familiari dello chef. Il secondo, ligure: Cra Selection del Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, con una presenza netta della Taggiasca. Deciso, piccante, con sentori di mandorla e carciofo, afferma con orgoglio la Liguria verticale e marina.
Il racconto prosegue con una remoulade di sedano rapa, avocado e un sorprendente gelato vegetale: una sinfonia di texture fredde e cremose, esaltata dal bianco Sinchè 2018, minerale e ampio, e dal suo alter ego analcolico, uno shrub alla fragola di rara eleganza.
Si cambia ritmo con un piatto dove mare e terra si stringono in una danza sincera: fagioli di Centallo e guanciale di mare, che in realtà è una seppia affumicata, trovano un equilibrio ardito nella salsa di calamari arrostiti. Il mare diventa denso, quasi carnale. È un piatto che ha radici profonde e sguardo lontano.
E poi arriva lui, il porro, in una delle vette narrative del percorso: ridotto a crema, affumicato con anguilla, arricchito da un gel di mandarino e completato da cannolicchi e midollo vegetale. La materia umile diventa protagonista, complessa e lirica, come in certi brani di Mahler. Il calice di Chardonnay Bellaveder 2022 gli dà struttura; la kombucha al tè Earl Grey, dell’abbinamento volume 0.0, freschezza.
Segue un piatto vegetale travestito da mare: carciofo sott’olio e gambero cotto con le teste, con una carezza di timo fresco. È un affondo nel Mediterraneo, tra amaro, iodio e un tocco balsamico. Poi un piatto che sa di primavera: agnolotti di spinaci antichi e ricotta, avvolti in un jus alla maggiorana. Rustico, sapido, identitario. Il confine tra infanzia e alta cucina.
Come ogni grande narrazione, anche questa ha una pausa prima del climax: pane al limone candito, profumato alla marocchina, burro spumoso con cristalli di Maldon, lavati via da un sorso di Champagne Rosé Voirin Jumel, fine e dissetante.
Il piatto successivo è una dichiarazione d’intenti: un risotto al peperone crusco in cui la dolcezza del Sud Italia si sposa con i percebes, frutti estremi dell’oceano. Il vino in abbinamento, Don Chisciotte 2021 di Zampaglione, ha il carattere del suo nome: visionario, ribelle. Per il percorso analcolico, lo shrub alla carota, macis e cardamomo completa il gioco aromatico con spezie leggere e terrestri.
La linea di tensione si alza con un piatto profumato al vadouvan, dove un filetto di San Pietro si accompagna a lumachine di mare e baccelli di piselli, su una salsa al coriandolo di profonda eleganza. In bocca, un equilibrio tra spezia e dolcezza vegetale che lascia il segno. Il Verduno Pelaverga 2023 aggiunge pepe, mentre lo shrub di barbabietola e arancia, intenso e profondo, è tra gli abbinamenti analcolici meglio riusciti.
Il secondo di carne chiude la parte salata con un colpo d’autore: filetto di manzo marinato al miso d’orzo, accompagnato da un jus all’alga kombu, salsa all’aglio nero fermentato e un gyoza ispirato al Giappone. Il piatto si chiama Tokyo-Guarene, due mondi, un solo boccone. In abbinamento, un maestoso Barolo Riserva 2012 di Boscareto: solido, profondo, necessario.
Il finale si consuma nella terza sala, quella dolce, dove la luce si abbassa e la voce dello chef si fa intima. Un sorbetto al mandarino con composta di agrumi e una zuppetta all’anice – chiamato Marino – anticipa la dolcezza tropicale di Thay-Siam, una composizione su mango confit, banana, spuma al cocco e sticky rice. In abbinamento, un Passito Batasiolo 2017, generoso e caldo, e un sidro Brut Berryland affinato in barrique di Calvados: un finale secco, elegante, che ripulisce e lascia il ricordo.
In fondo, uscire da La Rei Natura significa portarsi via una storia, anzi una moltitudine di storie. Quelle che Mammoliti scrive ogni giorno con le mani, gli estratti, le fermentazioni, l’orto e le sue Langhe. Una cucina che stupisce ed emoziona con profondità, che sa parlare di futuro senza mai dimenticare le proprie origini.
La Rei Natura
Via Roddino, 21
12050 Serralunga D’Alba (Cn)
https://www.ilboscaretoresort.it/la-rei-natura/