Dopo Aldo Moro in Buongiorno, Notte e un giovane Benito Mussolini in Vincere, Marco Bellocchio punta la sua cinepresa su un altro personaggio a suo modo “storico”, Tommaso Buscetta, portando sul grande schermo, con Il traditore, la travagliata storia di Don Masino ed insieme ad essa lo spaccato di uno dei periodi più bui della storia italiana.
Ed è proprio per stimolare ricordi sopiti che il film inizia a dipanarsi partendo dagli anni Ottanta, durante una festa di riconciliazione tra famiglie mafiose, suggellata con tanto di foto ricordo. Ma Totò Riina e i Corleonesi hanno altri piani in mente che sfoceranno in una guerra per il controllo di Cosa Nostra.
Mentre il sangue di boss e picciotti scorre a fiumi, Tommasso Buscetta (Pierfrancesco Favino) abbandona la sua famiglia in balia del piombo corleonese per rifugiarsi in Brasile verso una nuova vita: insomma, non è quello che potremmo definire un eroe, magari pronto ad immolarsi per salvare i propri cari, anzi.

Quello che invece Favino porta in scena, grazie alla sceneggiatura di Bellocchio&co, è un anti-eroe vanitoso e pieno di contraddizioni, che decide di pentirsi, di diventare un traditore di Cosa Nostra, solo dopo lunghe chiacchierate con Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi), cercando, forse, con i suoi racconti (in)confessabili, sepolti nella sua memoria, una vendetta che non avrebbe mai avuto il coraggio di farsi con le proprie mani.
Sarà proprio il suo pentimento a portarlo, come testimone chiave, in un’aula bunker costruita appositamente per celebrare il maxiprocesso di Palermo, circondato da 475 impuntati, molti dei quali a lui ben noti: ed è proprio con l’inizio del dibattimento che Il Traditore regala i momenti cinematograficamente migliori e umanamente peggiori.
Merito di un cast che può contare non solo su un Favino particolarmene ispirato, ma anche su una serie di comprimari siciliani di livello, come Luigi Lo Cascio e Fabrizio Ferracane, in grado da un lato di mostrare tutti i limiti della parlata siculo-faviniana, dall’altra di regalare allo spettatore in sala una rappresentazione credibile di quello che fu uno dei processi più importanti della storia italiana. E di quanto l’uomo possa cadere in basso.
Purtroppo, però, spente le luci del maxiprocesso, complice un minutaggio eccessivo, il film perde un po’ di ritmo e linearità: vengono meno i comprimari, vengono meno gli eventi storici e resta solo un Buscetta alle prese con il programma protezione testimoni, le interviste e il processo a Giulio Andreotti, in cui, stavolta, a brillare è la stella dell’avvocato difensore del Divo, Franco Coppi, intepretato da un soprendente Bebo Storti.
Tuttavia, nonostante qualche sbavatura in fase di sceneggiatura, Il traditore resta un film da vedere e far vedere. Perchè la memoria, non solo quella di Buscetta, è importante, soprattutto in un Paese che tende a dimenticare facilmente.
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