Home Cinema Film da vedere Hammamet: un gigantesco Favino “circondato da nani”

Hammamet: un gigantesco Favino “circondato da nani”

Gianni Amelio mette in scena gli ultimi mesi di vita di Bettino Craxi

Gianni Amelio mette in scena una delle più controverse pagine della politica italiana dando risalto al lato intimista ed umano del “personaggio” piuttosto che a quello più specificatamente politico.

Gli ultimi mesi di vita di Bettino Craxi sono infatti analizzati dal punto di vista della sua quotidianità, all’interno della casa-rifugio ad Hammamet. Amelio però, sceglie di non perdersi in inutili giudizi di parte ma preferisce lasciare ad ogni spettatore la libertà di uscire dalla sala con le convinzioni politiche pregresse con le quali è entrato al cinema.
Quella a cui assistiamo infatti, è un’opera minimale priva di brio, senza colpi di scena, nella quale non succede quasi niente, ma che viene resa tuttavia interessante dall’interpretazione maniacalmente eseguita da un gigantesco Pierfrancesco Favino.

Se non fosse per l’incanto derivante dalla perfetta fusione tra attore e personaggio, il film potrebbe infatti risultare piuttosto noioso, ed alcune buone scelte stilistiche, come dei bellissimi movimenti di macchina che si avvicinano a dei piani sequenza (la corsa iniziale dei ragazzini tunisini o alcuni momenti nel giardino della villa) non basterebbero certo a giustificarne la visione.

Di Craxi, certa stampa diceva: “Un uomo di una grandissima levatura politica, circondato da un esercito di nani”. In questo film avviene la stessa cosa; sullo schermo infatti possiamo ammirare un immenso Favino che purtroppo è circondato da attori “nani” che rendono mediocre una pellicola che avrebbe avuto tutt’altre ambizioni.

Fausto, il figlio dell’ormai morto ex compagno di partito Vincenzo, ad esempio, viene interpretato da Luca Filippi in maniera così didascalica che sembra di assistere ad un saggio di fine anno di una scuola di recitazione e, ad eccezione di Livia Rossi che interpreta la figlia di Craxi, che fa il suo lavoro in modo non eccelso ma più che dignitoso, anche gli altri attori non sono da meglio. Favino invece è un’altra cosa. È la sublimazione dell’arte attoriale che si manifesta davanti ai nostri occhi; è la fusione totale tra attore e personaggio, e lo è, non soltanto per l’incredibile somiglianza fisica, i cui meriti vanno al reparto trucco ed fx (effetti speciali), ma lo è per la perfetta aderenza ai gesti, al modo di parlare e soprattutto al coinvolgimento umano ed emotivo che lo rendono non più soltanto un mero imitatore, ma un personaggio vero, credibile, vivo.

Sembra quasi di assistere ad un documentario recitato da un redivivo Craxi che interpreta sé stesso e non si ha mai il senso di trovarci davanti ad una manieristica imitazione.
Tutto ciò è anche grazie alla scrittura di una sapiente sceneggiatura che, per restare aderente al personaggio ritratto sullo schermo, ci presenta dei lunghi dialoghi e dei bellissimi monologhi che danno l’opportunità a Favino di completare il suo processo di mimesi con il personaggio rappresentato fino a toccare le sue più profonde corde emotive. In uno di questi monologhi infatti riesce a partire da uno stato di apparente quiete fino a farsi uscire le lacrime dagli occhi senza nessun trucco di scena e senza mai staccare la macchina da presa.

È un film quindi, che ruota quasi esclusivamente attorno ad un attore che si staglia al centro di un prodotto mediocre circondato da pseudo attori “nani”.
Ed è un vero peccato. Anche se la storia ha una forte valenza territoriale perché tratta gli “affari” di casa nostra, questa pellicola resta un’occasione sprecata per far tornare “grande”, a livello internazionale, il cinema italiano.

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