Uscito sulla piattaforma Netflix con gran clamore il 24 dicembre scorso. Quella che sta per arrivare sulla terra ad alta velocità non è la slitta di Babbo Natale piena di doni, ma una cometa che sterminerà il genere umano.
Stiamo parlando della satira apocalittica di Don’t Look Up, diretto da Adam McKay con una parata di stelle di Hollywood capitanata da Leonardo DiCaprio e Meryl Streep.
La trama del meteorite con direzione terra non è certo una trovata originale, e se non fosse per DiCaprio e un parco di attori di prim’ordine, sicuramente di questo film non ne avremmo nemmeno sentito parlare. Ma cosa c’è di diverso in Don’t Look Up dal solito film stile Armageddon?
Un po’ di trama senza svelare troppo (no spoiler, don’t worry).
Ci troviamo di fronte alla scoperta del professor Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e la sua laureanda in astronomia Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), di un’enorme cometa (più grande di quella che sterminò i dinosauri) entrata nell’orbita del sistema solare con rotta di collisione con la terra nell’arco di sei mesi.
Da qui ha inizio una corsa contro il tempo surreale, tra un’udienza (quasi imperiale) di fronte alla Presidente degli Stati Uniti, (una trumpiana quanto impeccabile Meryl Streep), e una raccolta disordinata di scienziati, politici, miliardari, militari, giornalisti che affrontano, o non lo fanno, la minaccia della cometa in rapido avvicinamento.
Ce la faranno i nostri eroi a salvare il pianeta terra?
Immancabile la presa diretta con il pubblico a colpi di tweet e dirette social. Si apre così quell’immensa discarica di commenti che metterà in dubbio l’attendibilità della scoperta (ma guarda un po?!), con movimenti no-cometa che invitano a non guardare su (Don’t Look Up). Tutto questo vi ricorda qualcosa?
Proprio la reazione della popolazione alla drammatica notizia, troppo scomoda e allarmistica da dare, è senz’altro l’aspetto più interessante del film di McKay. Don’t Look Up pone uno specchio di fronte allo spettatore, che non potrà fare a meno di domandarsi quanto distante sia la realtà dalla finzione.

Memorabile lo sviluppo del personaggio di DiCaprio, in una parabola del dottor Mindy, che da scienziato onesto e preoccupato diventa in poco tempo ostentata celebrità, rafforzando la straziante e indicibile verità del film. Il narcisismo umano e tutto ciò che ha provocato, inclusa la distruzione della natura, sarà la nostra rovina?
Regia e sceneggiatura un po’ schizofrenica e sarcastica in pieno stile McKay, già premio Oscar per la sceneggiatura de La grande scommessa (The Big Short), che firma una pellicola che con il passare del tempo finisce per appesantirsi nei suoi 138 minuti di interminabile attesa.
Alcuni ruoli minori, come quello di Timothée Chalamet, ormai come il prezzemolo (è ovunque) e troppo spesso con la solita espressione (bravo, ma c’è da studiare), non donano niente in più al film e sembrano solo un richiamo per le varie fasce di pubblico.
Meryl Streep è come sempre a suo agio in un ruolo di potere, molto divertente da guardare quando non ti sta facendo rabbrividire. Jennifer Lawrence invece dà al film un impulso emotivo costante anche nei momenti più frenetici. Cate Blanchet, quasi irriconoscibile (sembra di plastica), dona il suo tocco glaciale ad una conduttrice televisiva senza scrupoli. Jonah Hill Feldstein (già con DiCaprio in The Wolf of Wall Street – leggi la recensione) aggiunge quel sarcasmo spocchioso e demenziale all’incapace figlio della Presidente, da cogliere fino a dopo i titoli di coda. Leonardo DiCaprio sempre impeccabile, è l’anima del film, riesce ad essere credibile e vero in ogni fotogramma nonostante il clima surreale che aleggia intorno a lui. Bravo a mantenere livelli altissimi di tensione e di umanità. Chapeau.
Il meteorite è come se cadesse sullo stomaco di ogni spettatore, con un colpo da knock out, tant’è l’ansia sprigionata dalla pellicola, nonostante frangenti divertenti e risate amare. Interessante il taglio del film, che mostra in maniera frizzante e grottesca il processo della comunicazione attraverso i media d’informazione, divenuti sempre più strumento d’intrattenimento.
Don’t Look Up è una critica ad una società sempre più superficiale e corrotta, che spinge a non guardare nella giusta direzione, quella verso la quale il film indirettamente mira.
Mestamente la politica mondiale finge di ricordarsi dei disastri ambientali le poche volte all’anno che viene dato spazio alla Greta Thunberg del caso, solo il tempo per farsi un selfie con l’arcobaleno e uno slogan buonista, con l’unico obiettivo di postarlo on-line e ricevere qualche like. Mentre Musk e Bezos si sfidano a suon di voli orbitali per milionari.
In questi atteggiamenti, reali, ci sono molte convergenze con la finzione cinematografica di Don’t look up. Intersezioni ben più minacciose di un meteorite.
Quello che se n’è andato è il nostro senso critico (di esseri pensanti), civico (di cittadini diventati ormai meri consumatori) e di volontà (di andare in strada e manifestare).
Il massimo della rivolta consiste nella realizzazione di un post o di una storia su Instagram, sufficiente a farci sentire impegnati nella giusta causa.
Così ogni giorno milioni di ignari lavoratori oliano gratuitamente gli ingranaggi dei social di Zuckerberg, che ringrazia.
Un post non ci salverà, ma renderà la fine meno tragica, un po’ stupida, ma più figa. L’estinzione ce la siamo ampiamente meritata.