Scrivere questa recensione mi fa sanguinare il cuore. Confesso di essere una fan di lungo corso di Drusilla Foer/Gianluca Gori, un essere umano che sprigiona bellezza da qualsiasi punto si guardi, dentro e fuori. Mancando mio malgrado il suo primo show, Eleganzissima, mi sono così apprestata alla visione del suo secondo spettacolo Venere Nemica piena di aspettative. La prima dell’Ambra Jovinelli a Roma dove è andata in scena la pièce dal 13 al 24 novembre 2024 era gremita e già pregustavo nell’aria quella frizzante, ma pure sferzante, intelligentissima ironia che Drusilla insegnava già nelle sue cecioniane telefonate all’Ornella.
Lo spunto-pretesto questa volta lo offriva la mitica figura di Venere. Una dea che siamo abituati ad associare alla bellezza e all’amore, giammai a figurarcela come suocera ostile di Eros innamorato di Psiche. Lo spettacolo prende infatti le mosse da una rilettura della favola di Apuleio contenuta ne Le Metamorfosi e presenta per l’appunto Venere nelle vesti capricciose di una suocera in aperta rivalità con la nuora mortale. L’idea è francamente brillante e poteva svilupparsi su innumerevoli fronti narrativi, strizzando l’occhio alla contemporaneità. Questa mia personale attesa però, viene presto delusa. La storia è e rimane per l’appunto quella di una Venere nemica, ostile alla giovane Psiche. Fine.
Certo Drusilla ci mette sempre e comnque del suo. Il personaggio che noi fan adoriamo coi suoi aforismi sul denaro, l’estetica, le telefonate agli altri dei, l’irresistibile snobbismo delle classi alte e più in alto dell’Olimpo dopotutto cosa c’è? La coadiuva nel racconto Elena Talenti con cui Drusilla divide la scena anche nei pezzi di cantato dal vivo, ma ahinoi non esce davvero mai fuori. Rimane piuttosto quasi una figurina di sfondo, controfigura stinta della buona Ornella. Sono brave entrambe sì, ma la verità è che lo spettacolo non decolla affatto.

Sembra piuttosto costruito da microscene slegate e senza ritmo che salvo qualche battuta divertente, non riescono davvero a reggere insieme una drammaturgia degna di questo nome. Non per un’ora intera quanto meno. Sì d’accordo non siamo di fronte a un testo teatrale in senso stretto, ma anche gli show meglio riusciti condividono una “polposa” struttura serrata, talvolta al limite dell’ingegneristico, che però io in Venere nemica ho sentito assente.
È un vero peccato perchè in questo zibaldone di pensieri sparsi, si coglie sempre il guizzo di geniale osservatrice di Drusilla, che qui compone il pezzo a quattro mani con Giancarlo Marinelli. Il punto è che poi si rinuncia ad andare oltre. La grande sconfitta di questo spettacolo a mio avviso è stata questa. Rimanere sulla vicenda di una suocera bellissima e altezzosa che vuole gareggiare con la nuora. Una scelta che finisce per appiattire tutto, facendo dimenticare anche i passaggi più interessanti sulla solitudine e la fragilità di Venere. Questa sua immortalità mai amata, il suo assurgere a icona di sentimenti che in fondo non conosce nella loro profonda irrequietezza tutta umana, la voglia di fuga ricorrente, in primis da se stessa.
Tutto rimane staccato, palco e platea. Noi mortali un poco sonnacchiosi sulle poltroncine e lei divinissima che fa il suo show patinato oltre la quarta parete. Non c’è comunicazione reale. Sì peccato davvero perchè gli elementi per portare a casa un grande evento teatrale c’erano tutti. A cominciare dalla regia di Dimitri Milopulos che gioca con le luci e gli specchi deformanti che compongono il fondale, restuendoci ora una dea, ora una donna, con tutte le occorrenze del caso. Peccato per la stessa Drusilla sempre splendida e impeccabile, ma qui poco convincente e peccato per me che avevo inaugurato felicemente la stagione dell’Ambra con Sanghenapule, sperando di cavalcare quest’onda di gradimento. C’est la vie… théâtrale!