Home Teatro Un quaderno intimo per gli inverni più rigidi

Un quaderno intimo per gli inverni più rigidi

Prima assoluta per la drammaturgia intima di Armando Pirozzi messa in scena dal minimalismo di Massimiliano Civica

In un Teatro Fabbricone spoglio di quinte e impalcature, nella nudità della sala, un tavolo bianco da cucina e due sedie rosse sgargianti apparecchiano una scena che abbonda di minimalismo. Lo spazio sgombro, scelto da Massimiliano Civica per rappresentare Un quaderno per l’inverno di Armando Pirozzi, toglie spazio a qualsiasi genere di forma, oltre ai due attori e ad un sacchetto di arance, che non siano le parole.

Un ladro, Nino e un professore di letteratura, Velonà, sono i due personaggi che albergano la performance. Di rientro in casa, Velonà si vede puntare un coltello alla gola da Nino, tornato a sua volta nell’appartamento da poco svaligiato. Quello che lo ha mosso a ripresentarsi sul luogo del reato è un oggetto apparentemente privo di valore. Un piccolo quadernetto nero, trovato all’interno della refurtiva si pone così al centro della scena. Cosa nasconde di tanto importante? Parole messe in versi. Poesie. Scritti di poco valore per il professore, datati ricordi di un amore che ha lasciato in lui solchi profondi. Parole di vitale importanza per Nino, alle quali aggrapparsi per l’ultima speranza di vedere risvegliare sua moglie Anita dal coma. Per questo chiede al professore di scrivere una poesia. “Vediamo cosa si può fare” dice il professore, e scrive. Nino farà visita altre due volte a Velonà: dopo appena tre ore, per comunicargli la morte della moglie, e a distanza di 8 anni, per derubarlo nuovamente. Tre incontri tra due mondi, due differenti solitudini, due anime sbattute tra l’incertezza del domani e lo scorrere del tempo.

Un periodo che trasforma nei due il ricordo e la percezione di quella prima sera, quando intorno ad un quaderno nero e a delle semplici poesie, i due adulti hanno intravisto una possibilità di salvezza. Una catarsi spirituale, fatta di parole in fila.

Uno spettacolo incentrato sul testo, asciutto, essenziale e carico di echi di vite possibili infrante tra le pagine di un quadernetto.
Un quaderno per l’inverno è un piccolissimo gioiello di scrittura, montato su di una regia leggera, in sottrazione, tutta d’un fiato, che disegna in punta di pennello i pochi tratti necessari per imbastire la scena. Il resto lo fanno le calibrate interpretazioni di Alberto Astorri e Luca Zacchini, rispettivamente Laganà e Nino.

La convivialità che si crea tra i due, scandita tra il rito della spremuta delle arance e quello della scrittura, è un’intimità che apre a fragilità interiori e approcci opposti, se l’uno è pronto ad aprirsi e a dare (Velonà), l’altro (Nino) appare chiuso e solo in grado di prendere. Nel finale, un’impercettibile nuovo inizio è segnato dalla poesia scritta dal figlio di Nino, che il ladro dona al professore.

Il dramma, nella pièce non si compie in scena, bensì al di fuori di essa. Si avverte una rottura remota, che i due personaggi non hanno saputo sanare e si trascinano appresso come un sacco di vetri rotti. È forse per questo che serve un quaderno per l’inverno. Un luogo intimo, dove la forza divampante della poesia possa ardere, esorcizzare il male e riscaldare l’anima, nelle fredde sere della brutta stagione.

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Exit mobile version
X