Home Teatro Ubu e Pinocchio incatenati al caleidoscopico mondo di Shakespeare

Ubu e Pinocchio incatenati al caleidoscopico mondo di Shakespeare

[rating=4] Il surrealismo patafisico di Ubu roi non trova limiti nella nuova messinscena di Roberto Latini, prodotta da Teatro Metastasio Stabile della Toscana e Fortebraccio Teatro, presentata al Fabbricane di Prato in prima nazionale e in replica fino all’11 febbraio.

Il testo cardine di Alfred Jarry, antesignano del movimento surrealista e del teatro dell’assurdo dei vari Beckett, Genet e Ionesco, è una miscela di  provocazioni grottesche, parodie e fitto umorismo.
La nuova lettura del regista/attore è densa inoltre di accentuate simmetrie shakespeariane: dai guanti rosso sangue di Madre Ubu (“Lady Machbet”), a due orsi innamorati (“Romeo e Giulietta”), fino ai naufraghi de “La Tempesta” e al fantasma del padre di “Amleto”. I parallelismi con il Bardo, nascono da parole, battute, voci integranti, congiunte alla storia di Padre Ubu da catene lontane evocanti Carmelo Bene e il suo Pinocchio.

Scena minimaliste negli oggetti quanto nei colori, dove il bianco la fa da padrone  rendendo lo spazio scenico incontaminato. Vecchie figure primordiali intente a pescare salcicce su di una piastra rovente, fanno da preambolo alla battuta ancestrale: “Merdre!”, genitrice di Padre e Madre Ubu e della loro proteiforme natura. Inizia così l’assurdo e immaginifico viaggio di Padre Ubu verso l’avidità e la brama di potere, antinomia del “Candide” voltairiano alla ricerca del migliore dei mondi possibili, che lo vedrà divenire «un re di stracci e di toppe, uno scherzo di re».

Ubu roi

La pièce è ben scandita da cambi scena roboanti, figli di una “tradizione” contemporanea, coadiuvati da un sottofondo sonoro brulicante di rumori e suoni, sapientemente creati da Gianluca Misiti, che rendono viva e compiuta la scena.
Efficace la scelta delle maschere che danno respiro e ampliano lo spazio fantastico: teste di vecchio dai tratti scimmieschi, un mix che richiama alla memoria frammenti di vecchi film hollywoodiani (“2001: Odissea nello spazio” e “Il Pianeta delle scimmie”).
Buona la prova attoriale dell’intero cast guidato da Savino Paparella e Ciro Masella, rispettivamente nei panni di Padre Ubu e Madre Ubu: goffi, vanagloriosi e labili al punto giusto, megafoni antitetici modulano voce e anima agli estremi, dai toni gutturali di Padre Ubu ai falsetti esclamativi di Madre Ubu.

Roberto Latini incarna un Pinocchio effimero come la follia che regna nell’intera opera, parente stretto di Ubu, legato a lui da una catena, come un vecchio marinaio sfida la sorte, disseppellendo fantasmi lontani e visioni coleridgiane. Lo stesso Latini firma una regia puntuale, ineccepibile e vivace nel contenuto e nella forma, quadri d’insieme e minuzie vengono curati all’estremo, fornendo una pulizia scenica invidiabile, dove si percepisce la forza di una sperimentazione ancora possibile. Ripetuti applausi di un pubblico entusiasta e divertito.

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