[rating=5] Luca Zingaretti porta in scena al teatro Bellini di Napoli il testo di Alex Kaye Campbell, The Pride, di cui è regista e attore protagonista.
Londra 1958, Londra 2015. Due epoche diverse, due appartamenti diversi e due storie, solo in apparenza, diverse; protagonisti delle due vicende due uomini, Philip (Luca Zingaretti) e Oliver (Maurizio Lombardi), e una donna, Sylvia (Valeria Milillo).
Nonostante il cambio di scena, per volere dell’autore, i personaggi mantengono gli stessi nomi e sono interpretati dagli stessi attori a sottolineare il valore simbolico e di specchio che lega le due storie.
Nella prima, quella ambientata nella Londra di fine anni ’50, troviamo una donna, Sylvia, sposata con un uomo, Philip, che sta lavorando alle illustrazioni del libro di uno scrittore, Oliver, che oltre ad essere il suo datore di lavoro è ormai anche un caro amico; per questo motivo ci tiene a far incontrare “i due uomini più importanti della sua vita”, come li definisce lei stessa, e organizza una cena.
Nella seconda, quella ambientata nella Londra dei giorni nostri, c’è un uomo vestito da nazista (Alex Cedron) e un altro prostrato a terra seminudo, Oliver, i due sono intenti in un gioco di ruolo a sfondo erotico ma il sottomesso interrompe tutto perché non è in vena; scopriamo che da poco è stato lasciato dal suo compagno, Philip, che non riesce proprio ad accettare la dipendenza di Oliver dal sesso occasionale con sconosciuti. A tenere insieme i due, seppure in maniera indiretta, è rimasta solo Sylvia, loro amica, che cerca di capire i motivi per cui Oliver cerca in continuazione di sabotare la storia con Philip.
Fin qui le storie sembrerebbero lontane tra loro eppure il ritorno alla prima scena rivela che qualcosa è andato storto alla cena: Philip ha provato un sentimento di fastidio per Oliver, lo ha detestato e disprezzato, ma perché? A Sylvia quel disprezzo appare immotivato e simile ad un altro che il marito aveva provato anni prima nei confronti di un attore che aveva conosciuto una sera e che pochi giorni fa si era impiccato dopo essere stato accusato di omosessualità.
Nel 2015 intanto Oliver passa le giornate sul divano a piangere per il suo amore perduto mentre Sylvia lo interroga sul perché di questa dipendenza dal sesso occasionale, cosa ci trova di eccitante nell’andare in un parco di notte e appartarsi con un uomo di cui non riesce a vedere nemmeno il volto?
Londra 1958. Oliver piomba a casa di Philip mentre Sylvia è in viaggio di lavoro, perché Philip lo ha lasciato? Perché preferisce tornare ad una quotidianità piena di menzogne che vivere a pieno la verità della sua vita? Ma Philip non può farlo, non può accettare di essere così, di essere gay, con Oliver è stata solo una scappatella di poco conto e seppure avesse avuto valore non avrebbe potuto nulla per cambiare la situazione, quella di bravo e onesto marito era la vita che gli spettava.
Ed è in questo momento che le due storie si allineano, parallele ma opposte: da una parte un rinnegamento totale di ciò che si è, la vergogna e il senso di colpa per essere “diverso” dalla quello che la società del tempo omofoba e bigotta vuole importi di essere e dall’altra il viversi fino al limite, fino agli eccessi e all’ostentazione.
Commovente è la scena in cui Sylvia, la moglie, incontra Oliver, l’amante del marito, e gli rivela che sa tutto della loro storia ma che non biasima nessuno dei due, che in fondo l’aveva sempre saputo che c’era qualcosa di inespresso in suo marito e prima di andare chiede all’amante “Almeno per una volta, per un momento, Philip è stato felice?”
Il Philip del ’58 finisce per andare in una clinica tentando di depurarsi dal suo male con una terapia d’urto disumana ma realmente usata all’epoca mentre quello del 2015 va al Gay Pride insieme al suo ex-fidanzato e alla sua migliore amica e lì in quel parco, dove cinquant’anni prima gli uomini si nascondevano per essere se stessi, si riscopre innamorato di Oliver.
Le luci a questo punto si spengono, si accendono solo dei cuori luminosi e sulle note di Rum and Coca Cola dei The Andrews Sister la voce rassicurante di Sylvia/Valeria Milillo ci dice che comunque vada andrà tutto bene.
La delicatezza ma anche la forza con cui The Pride affronta un argomento che oggi più che mai è stato indagato, bistrattato, abusato e strumentalizzato, è uno dei maggiori punti di forza di questo spettacolo che in fin dei conti non è solo una testimonianza sul mondo gay e sui pregiudizi che ha dovuto affrontare ma è anche una testimonianza sul mondo umano in generale, su quanto sia difficile accettarsi per ciò che si è e mettersi alla ricerca della felicità nonostante il proprio carico di bizzarrie, mancanze e contraddizioni.
Zingaretti, Lombardi e Milillo riempono la scena con la loro bravura che risalta ancora di più nei continui cambi d’abito che li rendono dei perfetti camaleonti da palco. A dare il tocco in più, oltre ai dialoghi brillanti e spesso divertenti, sono le musiche di Arturo Annecchino che sembrano giungere sempre al momento e nel modo giusto.
The Pride è uno spettacolo da vedere non solo per avere un punto di vista sincero sulla lotta per i diritti dei gay ma anche per lasciarsi andare per una sera alle emozioni e alla speranza che una vita più facile è possibile.