
[rating=3] Sinfonia d’autunno viene concepito dal regista svedese Bergman come spettacolo teatrale, poi trasformato in un film che esce al cinema nel 1978. Gabriele Lavia lo ripropone come pièce teatrale, senza alterarne le caratteristiche.
Andato in scena al Manzoni di Pistoia, Sinfonia d’autunno compone un’atmosfera di dolore antico e sempre fresco, che imprigiona i personaggi in un circolo vizioso duro da spezzare. Questo dramma psicanalitico ruota attorno alla figura di Charlotte, una madre assente la cui enorme ombra perseguita anche a distanza la figlia Eva, che vive con il marito Viktor in una casa nei fiordi.
La scenografia ripropone la stanza del salotto grigio in cui si svolge la vicenda, sovrastata in alto da una grata di finestre e accompagnata sulla destra dall’angolo dei giochi dove il bambino della coppia viveva serenamente, prima dell’incidente che l’ha strappato via dall’amore dei genitori. Apparentemente rassegnato il marito, Eva chiusa nel suo mondo di ricordi in cui il figlio ancora vive, un giorno arriva Charlotte a mescolare le carte in tavola e riaprire le ferite mai rimarginate.
La madre è una musicista di fama mondiale infantilmente avara di sentimenti, sempre in fuga dall’affetto familiare, figura carismatica tanto quanto patetica, magistralmente resa dall’interpretazione di una formidabile Anna Maria Guarnieri. Intrappolata dal suo amore per il pianoforte, l’unico che la rende una donna completa, Charlotte schiaccia chiunque con la sua finta modestia e la sua repellenza per ogni vera manifestazione di tenerezza e comprensione materna. Per lei “Viktor è noioso, Eva insignificante”, e la seconda figlia, giovane donna affetta da una grave forma di demenza, che da qualche anno vive con Eva, un qualcosa da evitare e respingere.
Madre e figlia tentano inutilmente, durante lo spettacolo, di cessare il fuoco e di riconciliarsi con un passato che l’ha private di un rapporto autentico, per colpa della cieca e arida vocazione all’arte di Charlotte e il forte senso d’inferiorità di Eva. La musica, unico ideale ponte tra le due donne, le separa maggiormente, Charlotte posseduta da un’immensa passione e conoscenza dei segreti dell’interpretazione, Eva, a sua volta pianista dilettante, suscettibile alle critiche e pronta a spezzarsi come una corda di violino. Ognuna di loro tenta a tutti i costi di piacere all’altra: Charlotte cerca maldestramente di ricucire i tanti strappi provocati alla vita della figlia, dopo la sua scelta scellerata di lasciare la famiglia per un altro uomo, la frivola attitudine di mandare lunghe lettere con descrizioni della sua vita extra-coniugale, la sua sfrenata individualità.
Ma gli errori in questa pièce sembrano non servire a niente, e anche davanti alla richiesta della figlia disabile, espressa in parole comprensibili solo da Eva, di suonare il pianoforte per lei, Charlotte risponde al suo cellulare, terrorizzata dall’idea di un gesto d’affetto. La riconciliazione tra madre e figlia non avverà mai, e Charlotte lascerà di colpo la casa, quel luogo di tuoni, tempesta, solitudine, amore.
Il dolore è l’immagine che lo spettacolo maggiormente richiama, il dolore fisico, il dolore interiore, il dolore nell’arte. Se per suonare bene Chopin, dice Charlotte, bisogna esprimere dolore, Eva, la sorella e Viktor suonano tutti i giorni ad arte la loro sinfonia autunnale, privata, universale. I rapporti umani sono qui pervasi da un senso d’impotenza e dissoluzione, tuttavia sottilmente aiutati dalla voglia di capirsi, di restare uniti, nonostante il grigio della luce nordica.