Il personaggio vive in sè la sua vita. L’attore vive tante vite in tanti personaggi.
Una scena tutta costellata di sedie, sulle quinte e sulle tavole, anche la platea accoglie quella ulteriore del capocomico. Sul palco si prova lo spettacolo: ci sono quasi tutti e come al solito manca la prima donna che arriva poco dopo con le solite scuse per il ritardo. Via si inizia! Ma c’è chi chiede del capocomico: sono “sei personaggi” “in cerca d’autore”.
Questi in nero con costumi già adatti ad individuare la parte, garantiscono la loro vitalità anche alla fine dello spettacolo, gli altri in bianco, costumi morbidi bianchi, echi di duttilità alla caratterizzazione che il personaggio impartitogli dovrà assumere, attendono le indicazioni registiche che il capocomico vorrà evidenziare.
Movimenti quasi coreografici in scena tra gli uni e gli altri sono la perfetta connotazione scenica di quanto i personaggi senza un copione rappresentino la vita e gli attori lo attendano per incarnare cosa di loro meglio si addice al contesto della trama.
Il capocomico Martino Duane accetta la sfida e sostenuto dal tuttofare macchinista, suggeritore, assistente, il brillante Giuseppe Rispoli, assegna le parti e alla riapertura del sipario affianca agli attori, i personaggi: i secondi provano, i primi recitano, con un pizzico di disappunto in questi ultimi, la famiglia appunto.
La regia molto appariscente di Daniele Salvo e talora eccentrica, visti i costumi di Daniele Gelsi, in scene molto belle e curate quelle di Fabiana Di Marco all’apparire di Madama Pace un po’ drag, un po’ fatalona, forte del suo ruolo Barbara Begala, crea una sorta di amplesso tra attore e personaggio in ogni coppia affiancata, scenicamente contrapposti comunque in bianco e nero.
Ma in scena non va la vita, bensì la sua rappresentazione, i riflettori nascondono i personaggi: sono tutt’uno con gli attori. Quando si spengono scompaiono questi e le luci mostrano solo quelli. E se al figlio il personaggio, troppo inserito nella famiglia pesa al punto da volerne scappare poco conta, egli barcolla non appena abbandona il suo contesto, vince invece la figliastra quando corre sulle scalette del proscenio per rivivere la sua vita facile, identica a quella del palco, tra la gente. Il personaggio fuori è se stesso, all’interno delle sue mura è le mille sfaccettature della sua vita. E solo il pubblico con il suo applauso è il giudice di quanto i personaggi rappresentino la realtà. A quel punto è finito lo spettacolo.