C’è sempre molta attesa prima di una messa in scena diretta da Gianluca Merolli ed anche stavolta le aspettative non sono state disilluse. Tornava a dirigere (ed interpretare) “Stranieri”, un testo di Antonio Tarantino, autore di spicco nel panorama europeo della drammaturgia contemporanea, già presentato al Teatro Argot nello scorso aprile con grande successo di pubblico e critica.
Scritta nel 2000 in occasione della morte del fratello, quest’opera è un incontro con la morte, nel quale emergono diverse forme di estraneità e dove il motivo di una paura imminente genera inquietudine, in una sorta di immobilità esistenziale ed emotiva, e ne fa un testo più che mai di attualità.
“Stranieri” racconta l’ultima giornata di una vita piena di noia e priva di senso di uomo anziano e malato che vive barricato nella sua casa e nella sua solitudine fatta di ricordi, e che snocciola come fosse un rosario un monologo ossessionato, scagliando la sua invettiva contro due pericolosi individui che a tutti i costi vogliono ‘entrare’, contro quelle misteriose presenze che incombono bussando insistentemente alla sua porta. Saranno sicuramente immigrati! Stranieri, quindi.

Per questo lui non vuole aprire, ha paura, pensa che si tratti di qualcuno che possa minacciare la sua dorata solitudine. In realtà i due non sono animati da cattive intenzioni, non sono extracomunitari, né venditori, né esattori di bollette già pagate come lui ipotizza, sul pianerottolo ci sono la moglie morta da anni ed il figlio mai considerato per il sospetto che il padre fosse un altro; sono i morti che ritornano, venuti per portarselo nella dimensione ultraterrena da cui provengono e si manifestano in carne ed ossa.
La scena non offre molte indicazioni, se non simboliche: una stanza bunker e, dentro e fuori di essa, pochi oggetti: una vecchia poltrona, una valigia piena di abiti femminili, i volumi di un’enciclopedia scientifica, un telefono staccato dalla presa, un pesciolino rosso con cui “dialogare”. Tutto il resto è “detto”, dai vivi e dai morti, e va ricreato con la fantasia scenica, ma nonostante i molteplici piani temporali e le schegge di azioni lo spettatore riesce (ed è questo il pregio maggiore) a ricostruire le dinamiche relazionali dei tre personaggi, a conoscerne le incomprensioni e le cose non dette e non fatte.
La scelta della platea in un teatro di piccola taglia e scarsa profondità crea un originale linguaggio scenico, come già era stato nell’ambiente intimo e ristretto dell’ Argot. Quello che avviene, dunque, in quello “spazio”, sembra poter accadere nella testa di quell’uomo solo e prossimo alla morte, ma avviene anche nella testa degli spettatori, che ascoltano il suo “parlarsi”, “dirsi”, “raccontarsi”… mentre le sue “visioni” diventano le loro, così intessute di rimpianti, ricordi, vuoti, ripetizioni.
L’abile regia non crea scarto tra la figura del padre e quella della madre e del figlio, non accentua la natura spettrale di questi ultimi mostrandoli come apparizioni incorporee, non li lascia immersi nella penombra, ma ne fa creature vive e palpabili, creando una composizione unitaria e rendendo compresenti le due dimensioni, i vivi ed i morti, il visibile e l’invisibile, ciò che è e ciò che non è più, dove l’alternanza tra i monologhi dell’uomo ed i dialoghi dei due defunti scorre parallela, sfruttando la tecnica espressiva del testo che ricorre alla brevità, per economizzare parole ed amplificare i significati.
“Stranieri” si rivela uno spettacolo intenso, profondo e commovente, con una recitazione che non lascia nulla al caso e dove tutto ha una spiegazione, in questo testo non facile sulla famiglia e sul rovesciamento che fa dei propri cari gli stranieri, appunto. Ma anche sulla paura dell’altro come malattia intima e sociale che sconfina nel delirio di chi ha scelto di vivere segregato in casa rifiutando il mondo e tutto ciò che è diverso, vittima dei suoi stessi beceri luoghi comuni.
Il risultato è una recitazione sentita, vissuta, accorata dei tre protagonisti: un sorprendente Francesco Biscione, una grande Paola Sambo ed un espressivo Gianluca Merolli, sostenuti dalla splendida scenografia di Paola Castrignanò, dai costumi di Domitilla Giuliano, dalle luci di Marco Macrini, dalla musica composta ed eseguita dal vivo dal bravissimo Luca Longobardi e dalla fotografia di Pino Le Pera, che fanno rivivere pienamente lo spazio ed il tempo della drammaturgia. Parole, sguardi, espressioni e gesti confermano quanta complicità e quanta empatia ci sia fra i tre attori in scena, e quanto siano importanti gli altri dettagli che dimostrano tutta la loro complementarità alla storia.
“Stranieri” firma una condanna, ma lo fa con malinconia, con delicatezza, senza alcuna ferocia vendicativa; gli spettri che vengono a prendere l’uomo non sono lì per saldare i conti di una vita di torti subiti fra quattro mura domestiche, sono pur sempre i suoi cari, che ha fatto indubbiamente soffrire, ma che ritornano per dargli una possibilità di riscatto, abbattendo muri e cancellando distanze….mentre la pioggia cade insistente e fredda, quasi a voler portare con sé tutto il male e guarire gli strappi, con un ultimo ballo sulle note di una indimenticabile e struggente interpretazione dello stesso Gianluca Merolli di “Strangers in the night”, che non ti aspetti, che sorprende e commuove.
Riesce ancora una volta a stupirci.