
Nell’ambito del progetto “A Sud del Teatro/3”, in collaborazione con l’Emilia Romagna Teatro, l’Arena del Sole di Bologna presenta, omaggio ai 70 anni di uno dei più grandi drammaturghi napoletani viventi, Enzo Moscato, lo spettacolo Patria puttana, uno spaccato delle sue opere “Pièce noire”, “Bordello di mare con città”, “Trianon”, “Luparella” e “Ragazze sole con qualche esperienza”. Lo spettacolo è sicuramente impreziosito dalla presenza di Moscato stesso, affiancato sul palcoscenico da Cristina Donadio e Giuseppe Affinito.
La scenografia piena di oggetti, l’enorme paravento colorato e un pulpito pieno di fiori e piume, contornato da bauli di legno che lasciano intravedere il proprio interno, fanno percepire un allestimento barocco e pomposo. Così Moscato ricostruisce l’interno di un bordello dei Quartieri Spagnoli di Napoli, dove i suoi racconti prendono vita e si intrecciano creando un unico spettacolo, sebbene collage di più racconti. Moscato, che ha curato anche la regia, legge dal pulpito le disavventure di “Luparella”, la prostituta che si trova a rimanere incinta e che chiede aiuto alla sua amica e collega Nanà. Il racconto è molto “colorato” e sfrutta appieno la musicalità del dialetto napoletano: dopo l’invasione durante la Seconda Guerra Mondiale, tutte le altre prostitute hanno un gran daffare con l’esercito tedesco e sono tutte a fare “le quindicine”, quindi nessuna di loro è rimasta a Napoli per aiutare le due poverette. L’umanità di Nanà è il tema principale del racconto: accudisce la poveretta, le prepara il letto e tutti gli strumenti reperibili, esegue le manovre giuste per facilitare il parto anche se attanagliata dalla paura, accudisce Luparella anche dopo la sua morte, abbraccia il nascituro come se fosse suo figlio. Protegge perfino il corpo della prostituta da un avventore tedesco che vorrebbe approfittare del suo cadavere… L’ultima sua richiesta, di chiudere uno dei battenti della porta del bordello in segno di lutto, sembra un grido di rivolta in un mondo ormai abituato a tutto.
Il racconto viene interrotto dagli altri 2 attori, ognuno portando avanti un testo diverso. Il risultato è una calda e precisa descrizione dei bordelli napoletani, dei loro bassifondi, delle loro lordure, delle loro perversioni. In tutto questo “scuro”, le prostitute illuminano la scena come angeli, sono umane, quasi pure. Gli uomini sono meri utilizzatori, topi di fogna che passano e poi spariscono, “contagiano e sporcano tutto”. Le prostitute sono a lavoro 24 ore su 24, distese su un letto “ in camera con i clienti a trastullare il biscottino”, “un soldo a me, diciannove alla signora” per 80-100 clienti al giorno. Disumana anche la visita medica di rito nel bordello: “tu spogliati, girati, vestiti, torna a chiava’”. Le storie si intrecciano: c’è chi si fa seppellire in questa melma e chi tenta di “uscirne”, risparmiando i soldi delle marchette per comprarsi il locale, passando da sfruttata ad imprenditrice. Nonostante tutti i soldi guadagnati, nessuna delle donne di Moscato si può redimere da questa vita, immerse fino alle ginocchia in un fetore che non possono più scrollarsi di dosso. Ecco che l’accostamento fra il termine “puttana” e la Patria nel titolo diventa improvvisamente molto più “digeribile”.
Sebbene lo schema dello spettacolo sia un avvicendarsi ripetitivo di parti di racconti, Moscato riesce a riempirlo di poesia, di parole, di colore. All’inizio per i non partenopei si avverte una certa fatica a sintonizzarsi con il linguaggio utilizzato, ma una volta che ci si fa un po’ l’orecchio, si intuisce che nessun altro dialetto avrebbe reso così bene la scena. Il collage creato non ha né un inizio né un finale, le storie si sovrappongono senza continuità e forse questo è il difetto principale dello spettacolo, che però ispira profonde riflessioni sul ruolo delle donne e soprattutto degli uomini.