La vecchia scorticata, “trattenimiento decemo de la iornata primma”. Questo il titolo originale che Giambattista Basile attribuì alla decima favola appunto della prima giornata del Pentamerone più famoso della letteratura italiana: Lo Cunto de Li Cunti, raccolta di 50 racconti “da morale” destinati ad un pubblico bambinesco. Certo è che queste “favole” non mancano di toni macabri o finali amari, per non dire crudeli, eppure sono stati proprio questi “cunti” antichi a gettare le basi della nostra formazione, solo successivamente edulcorata dagli esiti disneiani. Emma Dante ritorna in un certo senso alle origini, ma allo stesso tempo con uno sguardo fortemente contemporaneo, proponendo la sua versione di questa cruda fiaba, in cui “due vecchiarelle, che erano il riassunto delle disgrazie, il protocollo delle deformità, il libro mastro della bruttezza”, ordiscono un inganno ai danni del Re Roccaforte con cui condividono l’affaccio sul regale giardino.
La giovane e audace corona si innamora infatti della voce di una delle due zitelle, ormai ritirate da tempo immemore nell’oscuro sudiciume della loro casa e mostrandogli solo un mignolo dal buco della serratura, gli promettono una folle notte d’amore. La notte si consuma, così come l’inganno, il re furibondo scopre di aver giaciuto con una vecchia brutta e dalla pelle cadente invece che con una giovane appena sbocciata e decide di vendicarsi. Il “fatato” destino salverà solo una delle due sorelle, spingendo l’altra alla folle impresa di un macabro tentativo di ringiovanimento. La versione emmadantesca che i disneiani direbbero ancora non “per peccerilli”, mantiene il dialetto partenopeo, enfatizzandone gli aspetti più giocosi e divertenti, ma ad interpretare le vecchiette inserisce due uomini: Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola (compagno della regista).

Piccole modifiche sul finale, ma sul quale aleggia il “tenero” gioco di quelle vecchie carni dallo stesso sangue. Ironia, complicità, potenza d’immagine sono i punti forti di questo pezzo, dove i due attori sono pronti a “matar” magistralmente la scena, tanto per rimanere in tema sanguinolento, incantando la platea con i perfetti movimenti di scena e la modulazione della voce che in un ambiente pressoché nudo, tanto quanto le due vecchiarde, riesce ad evocare l’atmosfera di una fiaba lontana nel tempo, ma vicina all’orecchio e soprattutto all’occhio di un pubblico adulto e consapevole. Dopotutto già quello che aveva fatto Garrone nel film Il racconto dei racconti. Questa la “pecca”? In molti l’hanno considerata tale, descrivendo il profilo di una pièce ritagliata ad arte nel cartoncino dell’industria dell’arte, dove Emma Dante (che ha curato anche costumi ed elementi scenici) avrebbe fatto da brava scolara il suo lavorino con le forbicette. Quanta acredine, seppure commissionato un lavoro non è necessariamente un prodotto in serie o di poco valore e La Scortecata non è niente di tutto questo. Menzione speciale per le luci di Cristian Zucaro, protagoniste tanto quanto D’Onofrio e Maringola, su cui non serve spendere altre parole di lode; produzione Festival di Spoleto 60, Teatro Biondo di Palermo, in collaborazione con Atto Unico, Compagnia Sud Costa Occidentale. Ottima regia, checché se ne dica. Dal 30 Ottobre all’11 Novembre al Teatro India di Roma.