“Sono fatta per volare su una stella, ma ho il piombo nelle scarpe.” Forse è questa la frase più rappresentativa delle “due” Anne Sexton, magistralmente interpretate da Crescenza Guarnieri al Teatro Le Maschere di Roma. Quella di dentro e quella di fuori, banalmente snocciolabili come persona e personaggio, ma che forse invece conservano il dualismo in entrambe le forme. Anne Sexton la poetessa “casalinga” arrivata a vincere il Pulitzer, rivive nei gesti e nella voce di una delle più apprezzate interpeti del nostro tempo.
La Guarnieri fa sua l’anima più profonda e inquieta di Anne, donna bellissima e brillante, ma allo stesso tempo tormentata, da un male di vivere che è solo l’incapacità confessata di fare ed essere come gli altri si aspettano. Anne la moglie, la madre, la perfetta e angelica creatura della casa, ma più integralmente e genuinamente la ragazzina dai pensieri difficili che si credeva felice. Le poesie di questa donna straordianria sarebbero bastate e colpire come dardi di fuoco le orecchie e i cuori di un pubblico pronto a raccoglierne il senso profondissimo, ma Francesca Zanni che ha scritto il testo, non cade nella facile trappola dello strumentalismo. Anzi, reinventa una Anne teatrale, che la Guarnieri indossa col talento e la disinvoltura dei grandi.
Ci troviamo di fronte tante donne, quelle che siamo state, vorremmo essere o non saremo mai. Anne ci parla ridente e tristissima, col suo vestito di rose cadenti, iconograficamente potentissimo (chapeau ai costumi di Grazia Matera) con in mano la sua immancabile sigaretta e il white russian e non importa che la sua parabola umana si sia consumata negli anni della caccia alle streghe in una contea qualunque animata dai party della middle class. Lei è qui adesso, modernissima, straordinaria e ci parla di quel senso di inadeguatezza che i più hanno dolorosamente sperimentato, taluni, come lei, senza mai superarlo.

Tutti i miei cari è una pièce sul lungo lunghissimo viaggio verso una presunta luce fuori dal tunnel della vita, che ha preso la forma sempre più stretta di un imbuto dove Anne ha provato a incastrare, a spingere la sua intera esistenza. Perchè lei è una che aspetta, una che ha aspettato sempre, senza sapere bene cosa stava aspettando, con in gola un “sasso di mediocrità” che le spezzava il respiro, fra tutti quei colletti inamidati e giri di perle. La bellezza di questo spettacolo, che nel titolo evoca appunto i “cari” o presunti tali della Sexton, che pure lei mai aveva saputo riconoscere fino in fondo, sta proprio nel far emergere la voce di questa poetessa straordinaria.
La Guarnieri non la schiaccia con il recitato e anzi le dona libera tutto lo spazio che forse in vita le era stato negato, magnificamente espresso dall’immagine della staccionata bianca e splendente, che invero era stata per lei una prigione. La regia leggera e al tempo stesso intensissima di Francesco Zecca ci restituisce l’immagine più vera e autentica di una grande anima letteraria e non solo. Un’ora o poco più scorre cadenzata da battute così folgoranti da perforare le barriere più oscure dei pensieri, quelle che non ci lasciano ammettere debolezze socialmente inaccettabili. Come quelle di una madre, profilo che la Guarnieri aveva già espresso in un altro memorabile spettacolo: Niente più niente al mondo, all’ormai fu Piccolo Eliseo.
Che bello questo teatro poetico che viaggia a braccetto col talento, che bello il Teatro le Maschere, che inserisce nella sua tradizione di spazio per l’infanzia, anche serate dedicate a spettacoli come questo, pronti a lasciare il segno e a portarci lontano, in quel fuori che poi è sempre un dentro, ma che ogni tanto giova liberare. Per guardarlo e guardarci in quel modo speciale che solo il buon teatro, scevro da intenti didattici, politici o didascalici, insegna silenziosamente a fare.