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La Locandiera di Goldoni tutta in un sol morso

Inizia con La Locandiera - Come si innamorano gli uomini, regia di Mario Autore, la rassegna organizzata da UnAltroTeatro, dal 3 al 6 settembre nel Convento di San Domenico Maggiore a Napoli.

È iniziata il 3 settembre la rassegna teatrale di fine estate “Morsi di teatro” organizzata dall’associazione UnAltroTeatro nel Convento di San Domenico Maggiore di Napoli.
Gli spettacoli in cartellone sono quattro: La locandiera – Come si innamorano gli uomini per la regia di Mario AutoreTragodia – Il canto del capro, di Ettore Nigro; Telè – Liberamente ispirato al racconto di Pina Lamberti Sorrentino per la regia di Lorenza Sorino e Arturo Scognamiglio e infine, in scena il 6 settembre, Amleto – Pazzo ad arte. Frammenti di vita che ci “ri-guardano”, di Alessandra Niccolini e Giuseppe Pestillo, seguito da Certe Stanze – Concerto poetico per musica e voce di Anna Marchitelli. Il tutto anticipato da un aperitivo e con l’accompagnamento musicale della Roland Music School.
L’intento degli organizzatori è quello di portare sul palco brandelli di vita quotidiana, morsi – appunto – dell’esistenza in cui rivedersi e ritrovarsi.

La prima tappa di questo “buffet” di disparata umanità è l’opera goldoniana La Locandiera – Come si innamorano gli uomini portata in scena con la regia di Mario Autore, interprete anche del personaggio di Fabrizio, il fidato servo di Mirandolina. Con lui sul palco Gianluca Cangiano, il Marchese di Forlipopoli, Alessandro Paschitto, il Conte d’Albafiorita, Gaetano Franzese, il Cavaliere di Ripafratta, e infine Federica Pirone, Mirandolina.
L’opera è una delle più famose del commediografo veneziano e narra delle astuzie e degli intrighi messi in atto dalla proprietaria di una locanda, Mirandolina appunto, per far cadere ai suoi piedi il Cavaliere di Ripafratta, l’unico degli uomini in scena che non solo non è innamorato di lei ma che addirittura osa disprezzarla insieme a tutto il genere femminile, da lui considerato perfido e ingannatore.
Alla misoginia del Cavaliere, la locandiera risponderà con trucchetti e moine (“Ricordatevi donne, quando proprio non sapete più che fare con un uomo, un finto svenimento sistema tutto!” dice ad un certo punto) fino a farlo completamente impazzire d’amore.

I quattro protagonisti maschili della commedia sono la stereotipizzazione di diversi tipi di uomini: c’è il Conte ricco, spavaldo e sicuro di sé; il Marchese timido, impacciato, che si accontenta a stare accanto all’amata senza pretendere nulla in cambio; il servo Fabrizio, fedele confidente, amante dichiarato e paziente e per finire il Cavaliere, pronto a pensar male di qualsiasi gesto provenga da una donna. E Mirandolina com’è? Furba, sicuramente, avida di attenzioni, provocatrice, pronta a giocare con i sentimenti delle persone e ad umiliare i suoi pretendenti per puro divertimento.

La regia di Autore mostra reverenza per il testo originale, lo rispetta e non prova a snaturarlo, tutt’al più lo arricchisce con la trovata di abbattere la quarta parete e di coinvolgere nella rappresentazione in pubblico; gli attori in scena sono bravi, nel senso più puro del termine, con una recitazione pulita e fresca, che non eccede né in un senso né in un altro. A spingere un po’ di più sull’acceleratore è Alessandro Paschitto nel doppio ruolo del Conte e del servo del cavaliere, che appare totalmente padrone della scena, uno showman a tutti gli effetti che caricaturizza i propri personaggi senza però togliere loro lo spessore del messaggio di cui sono portatori.

Modesti i costumi della stessa Pirone e, purtroppo, a volte fuori tempo o stridente con la scena il disegno luci.

Al di là però della buona prova attoriale, delle scelte alla regia interessanti e di uno spettacolo nel complesso piacevole, ciò che può non essere condiviso da tutti è la scelta di un testo che lascia un messaggio completamente in contrasto con il periodo storico che stiamo vivendo. L’idea della donna manipolatrice, che inganna, seduce e poi – raggiunti i propri scopi materiali e non – lascia l’uomo distrutto e col cuore a pezzi non è forse uno stereotipo contro cui i movimenti femministi stanno lottando proprio in questi tempi in cui gli scandali sessuali riempono le cronache?
Quando all’inizio Mirandolina appare infastidita dalla cafoneria dei suoi clienti, dalle pretese che essi avanzano su di lei sulla base del denaro e dei regali che le elargiscono, viene da pensare che forse il messaggio settecentesco originario sarà rivisto, attualizzato, adattato ai tempi moderni in cui c’è sicuramente più sensibilità sull’argomento; ma ciò non avviene e alla fine Mirandolina avrà non solo la sua vittoria morale sul Cavaliere, ma sposerà anche l’ingenuo Fabrizio per poter conservare almeno in apparenza il suo buon nome.

Forse per i tempi il desiderio di libertà della locandiera, la voglia di non incastrarsi in un matrimonio è stata avanguardistica ma rimangono i cliché, le demonizzazioni del genere femminile e la concezione che una donna non faccia mai nulla di disinteressato ma cerchi sempre un profitto, finanche dai sentimenti.
Bene allora la rappresentazione, ma a voler essere pignoli, per il tema forse si poteva fare meglio.

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