Home Teatro Il racconto della nascita di Cristo più vero e nitido mai visto

Il racconto della nascita di Cristo più vero e nitido mai visto

[rating=3] Alcune enormi casse, con gli angoli in metallo e rotelle tipiche dei trasporti teatrali, un tavolo, qualche sedia buttata alla rinfusa nello spazio scenico, e una scala di legno in mezzo alla platea che invita quasi a salire sul palco. Questo si trova davanti il pubblico del Teatro Duse di Bologna non appena entra in sala.

Un tecnico luci, il regista e l’attrice si ritrovano su questo palcoscenico improvvisato per provare uno spettacolo, ricompongono il tavolo e le sedie mentre aspettano lo scrittore per iniziare la lettura del testo. Finalmente questi arriva, ed è proprio Erri De Luca, l’autore del libro “in nome della madre”, che impersonifica se stesso e fa da commentatore esterno alla narrazione. Iniziano le prove, l’attrice Sara fa la parte di Miriam/Maria, e il regista quella di Giuseppe, non avendo ancora trovato un attore per questo ruolo. Ben presto dalla mera lettura si passa all’interpretazione del testo, si abbandonano i copioni per far decollare lo spettacolo vero e proprio, come farebbe un razzo vettore per mandare in orbita l’astronave che custodisce.

Maria ci racconterà la sua struggente storia, che parte dal suo incontro con l’angelo fino alla nascita di Gesù nella stalla/mangiatoia di Betlemme. Forse con un pizzico di presunzione, ognuno di noi pensa di conoscere questi eventi abbastanza bene e quindi non si aspetta di avere niente di nuovo da apprendere sull’argomento: niente di più sbagliato! Maria/Miriam ci parlerà della sua quotidianità, di come ha convinto Josef (Giuseppe) ad aiutarla e a sostenerla nonostante sia rimasta incinta prima del matrimonio, di cosa questo comporti nella società dell’epoca, cioè un accusa di adulterio punibile con la morte, della disapprovazione dei suoi conterranei che la porterà ad essere sempre sola, come nel momento del parto nella mangiatoia, ma soprattutto di come ha tenuto in grembo questo bimbo con lo spirito possessivo di una madre qualunque. E’ una rilettura per niente convenzionale e liturgica della storia di Maria che deriva dalla traduzione che l’autore fa direttamente dall’ebraico della sacra scrittura, contestualizzando il tutto con lo spaccato della società di allora, con le sue leggi e le sue superstizioni.

Maria/Miriam ci racconterà le emozioni che prova per e con suo figlio, di cosa sente ad averlo in grembo, ad esempio di come lo abitua alla luce che lo colpisce attraverso la sua pancia, dell’ansia di conoscerlo e di poterlo vedere ma allo stesso tempo del dispiacere che proverà quando dovrà distaccarsene, alla nascita, e di come sentirà “un vuoto inutile” nel suo grembo. Se lo immagina mentre cresce, sperando che sia felice, un “bimbo qualunque”. E’ una storia vera ed intima, quasi “carnale”, di una madre e di suo figlio, che ha ben poco a che fare con la tradizionale figura di Maria che ci è stata tramandata.

Erri De Luca è sempre presente sulla scena (tranne nell’ultimo atto, dove Maria partorirà da sola) facendo un po’ quello che fa Benigni con la Divina Commedia di Dante: la impreziosisce con aneddoti, racconti, spiegazioni e note a margine, come ad esempio la differenza di traduzione tra “partorire con sforzo” invece di “partorire con dolore” della versione “ufficiale”, ma soprattutto scherza, fa divertire, talvolta con battute anche un tantino azzardate; è naturale come se non avesse un copione da ripetere, come se stesse improvvisando sulla base di un “canovaccio”, sempre perfettamente a suo agio sul palcoscenico. Il suo testo, così profondo e poetico, non si direbbe frutto di una mano maschile: ci si sarebbe aspettati una donna a descrivere il legame e le sensazioni più intime che possiamo trovare tra due esseri umani, quelle di una madre per suo figlio nella pancia (a questo proposito è molto poetica la descrizione del bimbo nel grembo materno, nel “panoramico centro dell’universo”, dove può essere cullato dal ritmo del cuore e appoggiare i piedi sul fegato materno …).

Simone Gandolfo, che interpreta il regista e Josef sul palco ma cura anche la regia dello spettacolo, è molto bravo, cimentandosi in un ruolo non facile per il continuo passaggio da emozioni forti e ben definite quando è Josef, al personaggio del regista, più “contemporaneo” e concentrato.

Sara Cianfriglia, sempre all’altezza della situazione nel ruolo di Maria, lo è forse un po’ meno in quello quasi comico di Sara, l’attrice di teatro iniziale. Nei suoi monologhi è intensa e pulita, coinvolge lo spettatore, lo tiene sempre incollato alla visione, anche nell’ultimo atto, dove resta sola sulla scena in una situazione quasi statica per molti minuti consecutivi, e in queste condizioni perdere l’attenzione del pubblico è molto facile.

Azzeccati anche i cambi scena fra un atto, o stanza, e l’altro, con l’unione della musica (di De Andrè ma anche scritta appositamente per lo spettacolo) a suggestioni cromatiche retroproiettate sullo sfondo del palcoscenico, mentre le ombre dei personaggi riposizionano le casse e gli oggetti.

Fortunatamente nessuna contaminazione di tipo religioso appare nel racconto, che mantiene le sue caratteristiche di verità e di purezza fino alla fine. Erri De Luca si limita a tradurre e a raccontare ciò che è scritto nelle sacre scritture: d’altronde, come ci fa ironicamente notare lui stesso, “questa storia non l’ho mica inventata io!”

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