Home Teatro Il colore svolazzante degli aquiloni di Paolo Poli

Il colore svolazzante degli aquiloni di Paolo Poli

[rating=4] Un’attenta (ri)lettura delle poesie del Pascoli, l’originalità che da sempre contraddistingue un “mostro sacro” del teatro come Paolo Poli, la sua immensa forza narrativa e tanti, tanti colori. Questa esplosione di primavera in anticipo ci attende al teatro Arena del sole di Bologna, che in meno di un mese ospiterà anche l’atteso spettacolo con un altro big del teatro: Dario Fo.

L’atmosfera campagnola, patinata, quasi da cartolina dei paesaggi narrati (coadiuvata dagli enormi pannelli che in un secondo trasformano la scena), la luna sempre pronta a fare l’occhiolino all’uomo e le fronde degli alberi a circondarlo e rassicurarlo, le storie zuccherose e facete, ma anche canzonatorie e profonde, ci fanno entrare in un mondo fatato, leggero e colorato. Tutti i versi, rigorosamente in rima, decantati abilmente da Poli e dai suoi ragazzi Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti, Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco, sembrano lontani e vicini allo stesso tempo, perdono la spazialità e temporalità, incantano e deliziano.

Paolo Poli in Aquiloni

Pascoli viene fuori completamente rivisto, beneficia di un’attenta analisi, dove vengono lustrate a nuovo i personaggi e gli scenari, dove le onomatopee vengono riscoperte, le canzonature rese più piccanti, come in “Italy”, il poemetto che irride gli accenti e gli errori italianeggianti nei nuovi emigranti in America. Le canzoni del repertorio “classico” come Guantanamera, con un’esplosione di coloratissimi sombreri, si alterna a parti più rivoluzionarie e sociali come “Addio Lugano bella”, canzone anarchica di Pietro Gori. Si respirano i tempi andati, riconducibili ai primi del Novecento, le campagne smisurate e ancora non così contaminate dall’uomo, la natura potente e romantica dei “poemetti” e “Myricae” di Pascoli. I bellissimi costumi di Santuzza Calì evidenziano l’enorme dicotomia tra il coloratissimo e saltellante Poli quando è mascherato e quello invece serio e fine, in smoking, che ci fa percepire la poesia come una cosa importante ed elegante. Le due ore con intervallo volano via, come una parentesi di bellezza e poesia a cui purtroppo la vita moderna non ci rende più avvezzi.

Bravissimo Poli e i suoi attori, ma questo, conoscendolo, era dato per scontato. Spesso i numerosi cambi costume portano gli attori a dover uscire e rientrare molto spesso e questo rende lo spettacolo un po’ macchinoso, così come il “vengo sul proscenio-dico la poesia-indietreggio” degli attori. Questo effetto è parzialmente messo in secondo piano dalla bellezza dei costumi e dal loro ingresso trionfale sulla scena, con colori, piumaggi e drappeggi che impreziosiscono il quadro scenico.

Quando si tira in ballo la poesia, lo spettacolo non diventa esattamente per tutti ma il pubblico dell’Arena del sole ha dimostrato di gradire molto, tanto da spingere Poli al bis programmato, l’unico dell’intero spettacolo in prosa, di un Manzoni così musicale e morbido che non si rimpiangono le rime e i versi precedenti. Spettacolo intelligente, elegante e molto ricercato, di un 84enne che non sbaglia praticamente niente, solo una lieve dimenticanza su una rima che poi viene puntualmente ripresa con ilarità e bravura dal maestro, che forse serviva solo a coprirne un’altra, questa vera, di uno dei suoi attori un attimo prima.

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