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Falstaff, un dramma che seduce

[rating=4] Dal 14 Ottobre al 2 Novembre è andato in scena al Teatro Carignano lo spettacolo “Falstaff”, produzione del Teatro Stabile di Torino. Lo spettacolo diretto da Andrea De Rosa sfrutta Falstaff, uno dei personaggi principali dell’Enrico IV di Shakespeare, per ripresentare l’eterna verità testimoniata dal personaggio con una consapevolezza molto moderna verso la posta in gioco.

Nell’opera di Shakespeare Falstaff è l’uomo che si inserisce nel passaggio dalla gioventù all’età matura del principe Enry, erede al trono d’Inghilterra. Lo sguardo di De Rosa sull’opera prende Falstaff e lo rende protagonista, colui che grida al mondo il sacrificio da affrontare in ogni caso in questo passaggio. O si sacrifica il dovere, e si rimane intrappolati nella mollezza del presente destinato a sfigurarci, o si lascia indietro la propria gioventù, desiderosa della risata, dimenticandoci del presente per l’onore.

L’entrata dei personaggi dall’alto, al suono di un “Falstaff” gridato dal seguito del protagonista, è un bel colpo d’occhio e d’orecchio che arriva allo spettatore come il rimbombo di un mare in tempesta. Il regno a cui appartiene Falstaff e il suo seguito è quello della notte e dell’avventura, dove il piacere trova la sua dimora privilegiata: un salotto fuori dal tempo delle scadenze e dei doveri dove chi fa da padrone è il corpo. Solo l’adesso è il tempo del corpo e solo divani e lussuriose lenzuola sono il suo spazio.

Falstaff_Foto Mario Spada

Ma il corpo deve fare i conti con l’anima e la storia del principe Enry, che uomo e re non vuole diventare, si comprende proprio alla luce di questo confronto. Enry vuole il piacere del corpo, simbolo della gioventù e del presente e per questo segue Falstaff e non suo padre, simbolo della maturità e del futuro. Ma perché il principe Enry è così sedotto dalla figura rozza e dissoluta di Falstaff? Cosa ci dice Falstaff dell’uomo?

Il dramma e la poesia che si consumano nella sua esistenza seducono, così come le sue parole. Se bandisci Falstaff bandisci il mondo e quindi forse la gioia a cui si lascia andare riguarda direttamente ogni uomo. La vera gioia non vuole né figli né eredi”, perché la vera gioia appartiene solo a un uomo che è ancora figlio, corpo, non padre. Per questo non è possibile che Falstaff e la sua risata crescano, lui che muore come un bambino appena battezzato.

Se le grandi questioni di senso dell’uomo sono sempre le stesse è l’intelligenza con cui vengono affrontate e la suggestione che producono a renderle momenti di poesia: e questo riesce al Falstaff di De Rosa, anche grazie ad una scenografia che coinvolge più di un dolby surround.
Non si sta parlando di un uomo alle prese con la sindrome di Peter Pan. Si sta parlando di un uomo che continua a scegliere il corpo perché il corpo non dice io, non smaterializza l’esperienza nella parola, ma fa io, ne è la materia, la sostanza. Quello che viene messo in scena è lo scontro dell’anima che ogni uomo sente. È lo scontro fra giovani che non vogliono diventare vecchi, fra vecchi che si sentono tali solo nell’aspetto ma non nel giudizio e vecchi che incombono come una spada di Damocle sulla testa dei figli.

Molto d’impatto la rappresentazione dell’unico vero vecchio sulla scena, il re Enrico IV, incatenato dal peso dell’eredità e del dovere che ha accettato e che vorrebbe trasmettere al figlio. Nello scontro fra i due la scenografia regala allo spettatore una metafora davvero suggestiva. Mentre avviene lo scontro fra il vecchio re e suo figlio, i divani e il mondo del covo di Falstaff rimangono sospesi a mezz’aria, come un fermo-immagine su quella frase gridata dal protagonista: è il riso che uccide la forza di gravità.

Forse è proprio l’aria, che pervade il palco anche nella scenografia “gonfiabile”, il fil rouge dello spettacolo. Se l’onore di una vita retta e responsabile è come aria, nocivo perché non si vede né si tocca, anche le pance di chi entra nel mondo di Falstaff, deformate dalla dissolutezza, sono d’aria a pensarci bene. Come se lo spettacolo testimoniasse che l’uomo è destinato a essere in scacco dal momento che anche chi sceglie il corpo rimane sconfitto. Falstaff rimane fuori dalla vita anche se in maniera diversa: non perché la vita non la assapori, ma perché il suo eterno presente del corpo implode dentro se stesso senza narrare nessuna storia se non ci fosse chi dice il suo io e lo racconta al suo posto.

Davvero buona la performance corale degli attori sul palco. Spiccano per sensualità vocale e di movimento Elisabetta Valgoi, Andrea Sorrentino e Giuseppe Battiston. Quest’ultimo, che sintetizza il rapporto anima-corpo interpretando entrambi i ruoli simbolo del contrasto, quello di Falstaff e di Enrico IV, padroneggia perfettamente la “schizofrenia” costruendo due personaggi monolitici e impeccabili.

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