
[rating=2] E’ una gelida giornata d’inverno a Shangai, l’aria è rarefatta e nessun rumore sembra turbarla. Un uomo anziano giunge a sorpresa a casa della figlia. La donna è agitata, vuole nascondere al padre il suo divorzio, vorrebbe sollevarlo da ogni preoccupazione e curarlo, ma è completamente risucchiata dal vortice frenetico in cui la città l’ha trascinata.
Ma in realtà, a nascondere un segreto, sono entrambi. L’anziano padre, infatti, è venuto in città a cercare una vecchia amica che non vede da più di trent’anni, alla quale è rimasto legato da un senso di colpa mai sopito e da un vecchio vinile che suona un malinconico walzer.
E ad aiutarlo in questa disperata ricerca sarà proprio il marito in crisi della figlia. Un dramma che mette a confronto due generazioni e due diversi modi di intendere la vita, da una parte la “pesantezza” di un essere caricato di tutte le responsabilità del vivere quotidiano e dall’altro una “leggerezza” nell’abbandonare senza apparente rimpianto i carichi della vita.
Il padre dirà infatti che “i fatti della storia non hanno fine e io ho scelto consapevolmente di non guardare, accecato dal mio fanatismo… si dà sempre colpa alla storia ed invece è colpa mia…non ho paura della morte, ho paura di questa tranquillità”.
Una regia, quella di Manuel Renga, che alterna l’azione scenica vera e propria ad una lettura interpretata, che sembra avere la funzione di narratore esterno di tutta la vicenda. Una scelta “ibrida” che però non sempre funziona. Un’alternaza di luci soffuse sul pannello e di musiche raffinate, contribuisce a creare un’atmosfera intima e sospesa in cui ogni essere umano è esso stesso un “carbone attivo” ovvero una materia porosa in grado di assorbire, ma anche di filtrare e di purificare un’anima stanca e disorientata.