In più interviste Antonio Rezza ha dichiarato di essere a buon diritto “il miglior performer italiano, forse l’unico”. Probabilmente è vero, è l’unico nel suo genere, poiché non è ascrivibile a nessun genere se non il suo personalissimo modo di fare Teatro. La sua fisicità è testimone della personale ricerca attorno a temi e concetti ormai noti a chi lo segue. La parola si incarna e il corpo parla, dando vita ad un cortocircuito sensoriale, logico e linguistico.
Ma di cosa parla lo spettacolo? Ecco è una domanda che giustamente si sente porre spesso la premiata ditta Rezza/Mastrella.
Anelante, in scena al teatro Bellini di Napoli dal 29 Novembre al 4 Dicembre, secondo gli autori è un “è un participio presente che simboleggia il combattimento nel suo divenire. E’ una brama senza possesso, è uno spasmo degli occhi”.
Le “ossessioni” classiche di Rezza ci sono tutte: la matematica, i precedenti spettacoli evidenziavano già nel titolo (7-14-21-28 e Fratto X); il mondo onirico, incombente dai corti degli anni ’90 al libro Son[n]o; la grammatica, la logica e la sintassi vivisezionate e sapientemente esplorate. Assiomi, teoremi ed enunciati si trasformano in tormenti e fissazioni “La sofferenza dell’essere umano mi distrae dalla purezza della geometria” e la psicanalisi si riduce a trovata fortunata di Freud che “ha fatto dei problemi suoi i problemi di tutti”
La novità vera di Anelante è nella presenza di quattro attori in scena oltre a Rezza Manolo Muoio, Chiara A.Perrini, Enzo Di Norscia e Ivan Bellavista, quest’ultimo già servo di scena e spalla nei precedenti lavori. Gli attori, seppur bravi e attenti, non sono mai personaggi ma estensioni, visioni, accessori, brandelli di corpo che rendono vivi gli habitat (così vengono chiamate le installazioni di Flavia Mastrella) e amplificano il (non)senso di ciò che avviene in scena.
Rezza come palombaro dell’inconsapevole scende negli abissi della coscienza, tornano alla memoria ricordi plausibili e fasulli, lì dove la parola non attecchisce e dove anche la parola di Dio “si fracica”. Il padre e la madre archetipi di due visioni del mondo rivivono in racconti surreali e coinvolgenti, i grandi della Terra non si incontrano e quando si incrociano non si intendono, così la arroganza del potere e l’illusione della comunicazione si fondono in un’esilarante disperazione.
In Anelante non mancano i momenti di Genio e cinismo a cui Rezza ci ha abituato ma in alcuni passaggi le strade imboccate sono troppo semplici, scontate, affidate alla nudità e a gesti triviali che nella loro reiterazione, lungi dallo scandalizzare, semplicemente stancano. La sensazione di stare lì incollato alla poltrona in attesa di una parola e di un gesto imprevedibile che cambia e toglie il senso al tutto in alcune fasi dello spettacolo si affievolisce e scompare.
Manca qualcosa, quei lampi di genio che fanno di Fratto X uno spettacolo memorabile, rivisto con piacere solo qualche giorno prima in occasione della consegna del Premio Napoli, assegnato dalla fondazione omonima ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Il pubblico un po’ se ne accorge, è un tripudio mancato, tra quelli più freddi non solo signori/e sensibili allo scandalo e al vilipendio ma anche estimatori appassionati che non hanno ritrovato la quella verve che rende Rezza un unicum del Teatro italiano. Anche Rezza se ne accorge e così risponde ad uno spettatore in prima fila reo di non applaudire: “A questi livelli il giudizio critico soggettivo non c’entra”. Hai ragione Antonio è uno spettacolo che va visto e consigliato, ma ci hai abituato a ben altri folli viaggi.
Ad maiora