
Un’ottima rappresentazione al Teatro Giuseppe Verdi di Pisa il 10 ottobre con Roméo et Juliette di C. Gounod, con la direzione di Michele Rovetta, regia e scene di Andrea Cigni, costumi di Massimo Poli e una giovane coppia di protagonisti quali Oriana Kurteshi e Giulio Pelligra: 2h e 50’ di musica intensa e dal forte impatto emotivo.
Roméo et Juliette è la più “italiana” delle composizioni di Charles Gounod, il quale iniziò a curarne la scrittura nel 1841, allorché risiedeva a Roma, a Villa Medici, avendo vinto il Prix de Rome nel 1839.
La prima bozza è addirittura su un libretto in lingua italiana, idioma con il quale il musicista non ebbe mai grande familiarità; dopo circa quindici anni riprese a lavorare sul progetto, su lirica in francese, stavolta, e solo nel 1867 il melodramma vide la luce del palcoscenico.
Il percorso creativo di Roméo et Juliette si dipana nella maturazione della forma da opéra comique a opéra lyrique, infine ad opèra.
In epoca romantica si afferma una lettura molto sentimentale della tragedia veronese di Shakespeare, con la trama che si dipana tra arie d’amore, duetti e rari concertati.
La lunga e travagliata gestazione del melodramma di Gounod vede il musicista dapprima cimentarsi con il libretto di Felice Romani, già musicato da Bellini in I Capuleti e i Montecchi, in seguito definitivamente con quello di Barbier e Carré, più stringato, a dispetto delle apparenze che farebbero pensare ad una dilatazione della narrazione, visti i ben cinque atti più un prologo.
La fonte letteraria, nel lavoro degli anni ’60 dei librettisti e del musicista, fu la traduzione di Victor Hugo della tragedia shakespeariana.
La musica è stilisticamente varia: dallo stile da sonata da chiesa, nella scena che ci mostra Frate Lorenzo, a incursioni di danza ottocentesche, episodi fugati e passi omofonici e omoritmici.
Il numero dei duetti presenti nell’opera è particolarmente interessante: ben quattro e tutti melodicamente molto ispirati.
Il tema d’amore fa capolino immediatamente, proposto dal colore scuro di quattro violoncelli e, conferendo circolarità, riappare nel quarto atto. Il quinto e conclusivo atto affida il compito di conservare coerenza e unicità ad un preludio sinfonico che riprende i temi ascoltati e avvia verso il dramma dell’epilogo.
I due giovani protagonisti Oriana Kurteshi e Giulio Pelligra, si sono rivelati una Juliette ed un Roméo ancora piuttosto acerbi, con una vocalità tirata e spesso forzata, anche se di presenza vitali ed energici.
Brian Nickel è stato un Mercutio possente, con la sua voce piena e ben nitida.
Silvia Regazzo si è svelata una sorpresa portentosa, nel ruolo en travesti diStéphano.
La giovane cantante veneta ha mostrato grande agilità canora e ottima presenza scenica nella sua cavatina “Que fais tu, blanche tourterelle”, ottenendo un immediato, lungo applauso.
Notevole e profondo anche Abramo Rosalen nei panni di un Frère Laurentdal tono caldamente umano.
D’effetto le scene moderne di Andrea Cigni, a partire dal giaciglio insanguinato sospeso nel vuoto, emblema della tragedia, alla sintesi di un minimale blu cobalto di sapore tipicamente chagalliano, tinta intensa che ha rivestito le pareti della scena divisa su due piani: il primo fatto di porte che scandivano le entrate e che all’occorrenza si sono trasformate in una suggestiva cripta simile ad un tempio suggerito dai vividi giochi di chiaro-scuro dati da luci e candele; il secondo immagine di balcone dal taglio netto che, sempre grazie alle efficaci luci della light designer Fiammetta Baldiserri, ha generato figure pittoriche ed ha permesso lo svolgersi simultaneo di azioni molteplici.
Grande la bravura del Coro della Toscana, ottimamente diretto da Marco Bargagna: nelle ampie pagine corali, la compagine ha mostrato notevole forza e gusto espressivo.
Bella prova anche per l’Orchestra della Toscana, diretta dal giovane direttore Michele Rovetta.