Con l’esecuzione de La costanza trionfante al Teatro Goldoni, Livorno ha ospitato un evento che va ben oltre la dimensione della “prima moderna”. L’apertura del nuovo Festival Hortus Harmonicus si è configurata come un’operazione di alto profilo musicologico, in cui la restituzione storica si è intrecciata a una concreta e consapevole prassi teatrale. La riscoperta e ricostruzione dell’opera, dovuta a Federico Maria Sardelli, vero illuminato, che ne ha curato edizione critica, direzione musicale e mediazione narrativa, ha riportato all’ascolto uno dei titoli più enigmatici del catalogo vivaldiano, noto per fama nel Settecento ma rimasto per tre secoli privo di voce.
L’impianto metodologico dell’esecuzione è apparso sin dall’inizio improntato a una rigorosa trasparenza filologica. Lontano da ogni tentazione ricostruttiva arbitraria, Sardelli ha scelto di presentare integralmente e senza interpolazioni la musica autenticamente sopravvissuta: 18 arie su un totale originario di 35 numeri chiusi. La narrazione parlata, affidata allo stesso direttore, ha svolto una funzione non ancillare ma strutturale, permettendo al pubblico di seguire l’intricato intreccio e di cogliere la fisionomia dei personaggi, restituendo al tempo stesso l’idea complessiva di un dramma musicale altrimenti frammentario.
Dal punto di vista stilistico, La costanza trionfante si colloca in uno snodo decisivo della parabola teatrale vivaldiana. Composta nel 1716, nello stesso anno della Juditha Triumphans, l’opera testimonia un linguaggio ormai pienamente maturo, in cui la forma dell’aria col da capo viene piegata a una sorprendente varietà affettiva e retorica. Le arie superstiti rivelano una scrittura vocale esigente e caratterizzata, in cui la figurazione naturalistica e pastorale (Qual dispersa tortorella, La timida cervetta, È ver la navicella) diventa strumento di introspezione psicologica più che mero ornamento convenzionale.

L’Orchestra barocca Modo Antiquo, guidata da Sardelli, ha restituito con grande lucidità il profilo teatrale della partitura. La direzione ha privilegiato la chiarezza formale e la tensione interna del discorso musicale, mettendo in risalto l’inventiva ritmica e timbrica di un Vivaldi operista tutt’altro che subordinato al concertista. L’attenzione al fraseggio, alle articolazioni e ai contrasti dinamici ha evitato ogni rischio di uniformità, mentre la Sinfonia RV 112 in apertura ha funzionato come efficace cornice stilistica, anticipando il carattere energico e mobile dell’opera.
Sul piano vocale, l’asse portante della serata è stato rappresentato da Cecilia Molinari, chiamata a sostenere un compito di notevole complessità: interpretare con coerenza stilistica e differenziazione espressiva sia ruoli maschili sia femminili. Nei panni di Tigrane, re di Armenia, di Eumena, figlia di Tigrane e Doriclea, e di Farnace, favorito del re e amante di Getilde, il contralto ha mostrato una padronanza tecnica e un’intelligenza musicale di alto livello, che ha permesso di delineare personaggi distinti e di restituire la complessità drammaturgica dell’opera. Valentino Buzza, nel ruolo di Olderico, principe d’Armenia e amante di Eumena, ha offerto una prova solida e stilisticamente centrata. Carlotta Colombo ha interpretato il duplie ruolo di Doriclea, consorte di Tigrane e madre di Eumena, figura centrale sul piano affettivo e morale, e Getilde, principessa amante di Farnace. Il soprano ha restituito con efficacia la molteplicità dei personaggi, tra autorità regale, tensione amorosa e tenerezza materna.
La conclusione affidata al coro Viva Amor, viva la Pace, composto da Sardelli per l’occasione, emerge come un epilogo simbolico, coerente con la prassi celebrativa del teatro barocco, che esplicita il senso dell’intera operazione: non colmare artificiosamente le lacune, ma offrire un orizzonte interpretativo dichiarato e criticamente fondato.
L’esecuzione livornese de La costanza trionfante ha dimostrato come la musicologia, quando dialoga con la prassi esecutiva e con una visione teatrale consapevole, possa generare eventi di autentica rilevanza artistica. Con questo primo appuntamento, Hortus Harmonicus si presenta come un laboratorio di ricerca e ascolto, in cui il repertorio barocco viene non semplicemente riscoperto, ma interrogato, contestualizzato e restituito alla sua originaria forza drammatica. Lunghi e meritati gli applausi del nutrito pubblico.