Superstiti, coppie di ragazzi e ragazzi, si salutano sulle eccelse note di Giuseppe Verdi, ben dirette da Roberto Rizzi Brignoli, e lasciano la scena a un manipolo di soldati con elmetto nero e alabarda in resta, in affascinanti movimenti coregrafici, a firma Marta Iagatti, che introducono ad Abigaille, tutta in nero con cappottone, l’unica conferma del cast dello scorso anno, e poi al popolo giudeo, che lamenta la propria triste sorte. Tutti abiti civili essenziali e siamo nel terra pieno di un trincea.
L’occasione si porge a tal proposito, quando Nabucco, divenuto re, si erge a Dio e nel comunicarli agli ebrei, irriverente del tempio e dei suoi fedeli, ne riceve in cambio un fulmine che lo getta al suolo con la corona a terra, alla sua sinistra. Ella prontamente l’afferra e se la pone in testa: ormai è regina e da ordine di portare il padre nelle sue stanze.
La scena cambia di poco e nel disegno di Andrea Belli e per la regia di Federico Grazzini, medesimi anche nell’edizione 2016, pone per sbarre, le stesse dei lavori in corso e qui troviamo le genti in scena ivi aggrappate ed esse, a sostituzione del Giordano, sono il confine tra il bene e il male ed unico conforto trovano nel gran pontefice Zaccaria, il potentissimo basso Riccardo Zanellato. Inutile ogni tentativo del confuso e debole Nabucco, di ottenere dalla nuova regina clemenza per se e la sorella.
Le tre voci principali del baritono Gevorg Hakobyan, del mezzo soprano Erika Beretti, di Zaccaria con il coro come al solito ben diretto da Roberto Gabbiani, completate all’aprirsi delle genti dal sopraggiungere della regina, il soprano Csilla Boross, avvelenata ed esanime, in atteggiamento di perdono al padre, ai fidanzatini e al pontefice, creano un aria di impareggiabile bellezza e bravura. Tutto finisce con Abigaille tra le braccia di Nabucco cui va la profezia del basso “Servendo a Jehova sarai de’ regi il re!” e l’applauso dagli spalti, poco gramiti, dell’arena romana di Caracalla.