Split ovvero quando il cinema diventa e fa psicoterapia e affronta un tema scomodo, il disturbo dissociativo dell’identità. Dennis, rasato, muscoloso e con gli occhiali, sembra all’apparenza un ragazzo normale, ma nasconde un segreto, forse anche di più, 23 segreti. Ebbene sì, Dennis ha 23 personalità più una, che scopriremo essere molto pericolosa. E’ un ragazzo con l’identità multipla, la personalità dissociata, un enorme e dilaniante conflitto interiore.
La storia è inquietante e ansiogena. Dennis, meravigliosamente interpretato da James McAvoy, a pochi minuti dall’inizio del film, rapisce tre ragazze: Casey (la bella Anya Taylor-Joy di The Witch) e due sue amiche (Jessica Sula e Haley Lu Richardson). Prima stordisce il papà di una delle tre nel parcheggio di un Mall e poi si fa trovare al posto di guida della macchina su cui le tre teenager sono salite.
In bilico tra il ridicolo e la compassione, Dennis ci allontana con la sua ferocia e decreta per sempre l’impossibilità dello spettatore di immedesimarsi o quantomeno di compiangere quella creatura che sa essere mostro e ragazzo indifeso allo stesso tempo.
In un crescendo di tensione e di delirio, James McAvoy, veramente a suo agio nei panni del protagonista, ci tiene incollati allo schermo e la nostra ansia cresce con quella delle ragazze rapite. A fronteggiare la più pericolosa e l’ultima delle identità sarà solo Casey, che riuscirà a mantenere il sangue freddo e a salvarsi.
Ripercorriamo il vissuto della giovane in una serie di flashback cadenzati, apprendendo che non c’è molta differenza tra lei e il suo predatore e lui lo capirà.
Una menzione particolare va a Betty Buckley – forse in uno dei suoi migliori ruoli cinematografici – che in un’intervista ha dichiarato: “Il messaggio subliminale di Split è che chi soffre è capace di fare molto altro”.
È una costruzione inusuale, possibile solo con la tecnica che padroneggia il regista M. Night Shyamalan, in grado di comporre ogni inquadratura per suggerire, abile nel lavorare sugli angoli dello schermo, posizionando oggetti, facendoli muovere o scegliendo in ogni istante il punto migliore per mostrare una scena, per enfatizzare ciò che gli interessa.
Stavolta a far paura non sono i defunti, il paranormale, ma l’essere umano. L’idea della Bestia è frutto delle opinioni teorizzate dalla psichiatra, secondo cui la somma delle diverse personalità di un individuo potrebbe dare origine a un superuomo modificato nei tratti fisici e sensoriali. E Shyamalan lo mostra con semplicità, naturalezza, con un thriller psicologico che è anche horror, in cui non ci sono né vincitori né vinti, ma che ci fa venire a contatto con il nostro lato più oscuro.
Colpo di scena nel finale.