Home Arte Esprimere più che illustrare. La forza di Pollock

Esprimere più che illustrare. La forza di Pollock

[rating=2] Le xilografie di Dante e Boccaccio realizzate dai fratelli Marzocchi per la porta della Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio e la bronzea realizzazione donatelliana della Giuditta e Oloferne ci preannunciano il brevissimo percorso della mostra titolata Jackson Pollock. La figura della furia.

Le opere esposte, per la prima volta a Firenze, attraversano un ventennio della vita artistica del pittore, dalla metà degli anni ’30 agli anni ’50. In esse è possibile scorgere tre fasi artistiche dell’autore: quella giovanile, di studio e confronto con i grandi del passato; quella di ricerca e imitazione dei pittori contemporanei e dei loro movimenti, dal cubismo all’astrattismo; quella della maturità, con l’elaborazione di uno stile che privilegia le composizioni astratte, destrutturate, frammentate, con segni, intrecci di pennellate, sgocciolature che costituiscono la sua drip painting.

Se nelle opere della prima fase Pollock trova la sua fonte di ispirazione in Michelangelo, il Buonarroti della Cappella Sistina e del Giudizio universale, del quale ne riproduce alcune figure in schizzo su fogli d’album quali esercizi di copia accademica pur studiandone anatomicamente il corpo umano, negli altri disegni Pollock sembra, pian piano, distaccarsi per ricercare una propria via artistica quasi prediligendo il non-finito. Ma forse, il confronto con Michelangelo da quest’ultimo punto di vista è molto più profondo. Quante sculture del Buonarroti contrappongono il non-finito al finito, basta pensare a I prigioni scolpiti per la tomba di Giulio II. Il non-finito di entrambi gli artisti manifesta una straordinaria energia, una ricerca primordiale di libertà, un’epica lotta contro il caos universale.

E in Pollock questo caos sembra prendere forma nelle opere della seconda fase per poi manifestarsi pienamente nell’ultima, quella dell’Action painting, nella quale si enfatizza l’azione, il gesto del pittore inteso come esperienza interiore, luogo di pulsioni primarie.

Jackson Pollock. La figura della furia

Evidenti, in due delle molte opere senza titolo, le influenze di Mirò e Picasso, di quell’Astrattismo e del Simbolismo imperanti all’inizio degli anni ’30 negli Stati Uniti. L’incisione in bianco e nero, Senza titolo, riporta subito alla mente dell’osservatore Guernica di Picasso, quella contrapposizione di torni primari, quelle intensità di colore, quelle figure che si spezzano per poi trovare nuova vita, quei simboli che omaggiano il grande maestro spagnolo – dall’occhio, al fiore, alla testa di cavallo.

L’altra creazione, anch’essa in bianco e nero e senza titolo, richiama Mirò, una sorta di scrittura privata dell’artista che, con un gesto veloce, ferma sulla tela un momento di vita, quasi un sogno. Sembra manifestarsi la volontà di simboleggiare freudianamente un episodio di auto-definizione artistica, un’astrazione dal reale, un processo che conduce alla scoperta di sé, dei propri sentimenti, delle proprie emozioni.

Emozioni che si manifestano già in alcune opere giovanili, a partire da Panel with Four designs (1934-38): in ogni pannello energia e furia creativa sono già i suoi segni caratteristici; figure umane si intrecciano, in una sintesi perfetta, un’unione onirica, turbolenta, quasi kokoshkiana, ma già tendente alla sua matura visione estetica: la sintesi metafisica tra gli opposti, tra l’ordine e il caos, tra ragione e sentimento.

Sintesi che ritroviamo nei dipinti The water Bull (1946) e Earth Worms (1946). Qui affiora nuovamente il tema del caos primordiale nell’acqua così come sulla terra, espresso violentemente e con potenza attraverso segni, linee e colori in libertà, una pittura casuale, quasi primitiva, ma talmente valorizzata dalla tecnica astratta del creare uno spazio unico, dinamico, senza confini e gerarchie, totalmente naturale che ricalca la volontà dell’autore: «Io voglio esprimere, più che illustrare i miei sentimenti».

Ed ecco che questo gesto conferisce alla pittura una forza sorprendente, un’intenzionalità espressiva incalzante e immediata.

Al di là della straordinarietà di Pollock non si possono tralasciare alcune note di demerito per l’organizzazione della mostra: in primis la collocazione delle didascalie, spesso inappropriata e confusa; la mancata successione temporale espositiva che può generare confusione nell’osservatore; troppa l’importanza data agli studi accademici e agli esercizi dell’allievo Pollock anziché alle opere della maturità. Sarebbe stato più opportuno, dato che si trattava della prima mostra fiorentina dell’artista americano, esporre i dipinti che lo hanno consacrato alla storia dell’arte contemporanea, non solo americana ma internazionale, quale primo artista dell’Espressionismo astratto.

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Exit mobile version
X