Home Teatro Un Romeo e Giulietta cristallizzato, poco shakerato

Un Romeo e Giulietta cristallizzato, poco shakerato

Nell'ambito della rassegna Shakespeare Shaker, in scena anche una versione di Romeo e Giulietta

Una commedia tragica e beffarda, di contrasti, di quel palpitare d’amore, ma anche osceno, al suo massimo livello di esaltazione. Secondo Carmelo Bene Romeo e Giulietta è un esempio assoluto di manierismo – nonché la tragedia meno riuscita di Shakespeare. Asserì di essersene fatto tentare, nel 1976, cedendo al desiderio di restituire i personaggi come frecce, sfumature persistenti, ectoplasmi, brani musicali. In una selva di voci e cinguettii, festa innevata e focosa, gran concerto di uccisioni.

La storia degli amanti infelici è una slavina che inizia da lontano, già dalle Metamorfosi di Ovidio, motivo mitico che si ripete arrivando fino a Shakespeare – cristallizzandosi – e poi fino a noi.

Gli allievi della scuola di recitazione Orazio Costa ne hanno proposto una loro versione, andata in scena nell’ambito della rassegna fiorentina Shakespeare Shaker, al Castello dell’Acciaiolo di Scandicci. Senza però, a nostro avviso, trovare alternative, strade nuove rispetto all’originale, eterno, ma polveroso classico. Lo scoglio forse si annida anche in quella sorta di inadeguatezza intrinseca di cui parla Bene, e di un leitmotif, il suicidio per amore, che è arduo da restituire senza scadere nei clichées. Il patetico è in agguato dietro l’angolo.

Un vestimento, quello di questo spettacolo, che non smuove gli animi, in più non affiancato da un cambio luci efficace, o da musiche portanti; e globalmente, con un andamento senza picchi e ricadute, ma piuttosto invariato. Il personaggio della balia risulta tra i più vivi; l’attore che interpreta Mercuzio, pur dimostrando una certa verve, risulta incatenato in una serie di doppi sensi più volgari che fool, dionisiaci. La scena del ballo, con la soluzione del rallenty, è la più originale, se non fosse per una sorta di frettolosità nell’esecuzione, come se l’incontro tra Romeo e Giulietta avvenisse quasi in sordina.

La recitazione del gruppo non esalta i momenti portanti; la scena della cripta, nel finale, non infiamma, e la finta salma di Giulietta, portata in spalla per ben due volte, risulta un in più che non aggiunge struggimento al dramma, di cui le parole deliranti del Bardo sono intrise. Nonostante l’impegno dei giovani allievi, qualcosa sembra mancare per rompere le dighe, usare la voce come mezzo di trasporto, o perlomeno il corpo – ad esempio nel combattimento -, come vera allegoria di violenza. Quel turbine di incoerenza e scontro tra i registri, che qui non è germogliato.

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