Torna dopo 14 anni in libreria il testo di Davide Desario “Storie bastarde”. Raccolta di storie appunto, storie vere dal litorale romano negli anni 70-80, edito da Avagliano Editore. E arriva a teatro anche la sua versione scenica. A firmarne il ridattamento sono Fabio Avaro, che ne diventa il protagonista nella forma del monologo e Ariele Vincenti che ne cura la regia.
Lo spettacolo è andato in scena al Teatro Lo Spazio di Roma dal 13 al 17 novembre. Avaro vi ha vestito i panni di un ex ragazzino che ripercorre a ritroso la sua infanzia e adolescenza. Al centro di tutto Ostia, satellite marittimo della capitale, dove si consumano giornate frenetiche fra palazzoni e serrande, calciando palloni.
Nel mezzo la parabola storica del Paese, la morte di Pasolini, la droga, la micro criminalità che diventa mafia. Avaro da corpo e voce a un ragazzino lidense, uno come tanti, con la passione del calcio, la maglietta Lacoste da non sporcare la domenica a pranzo, le comitive, l’adidas Tango. Lui, sogno proibito di gioventù, prezioso upgrade del Supersantos, che trova sempre il modo di accoppiarsi col burbero di turno che minaccia di bucarlo.
E proprio l’indimenticabile episodio del tanto agognato pallone di cuoio si lega nella trama all’incontro con Maurizio Abbatino, futuro boss della Magliana e a quella piega dolorosa a cui Ostia presterà suo malgrado il fianco, fra spaccio e abusivismo edilizio. La versione scenica dei racconti di Desario, firmata Avaro-Vincenti gioca sull’espediente circolare del ragazzino mandato a studiare all’estero, per evadere proprio da quel degrado, a cui talvolta neppure le famiglie perbene riuscivano a sfuggire.
Lo spettacolo dunque si apre e si chiude con Avaro attore che prova lo spettacolo “Storie Bastarde” di fronte al tuo ex “ticcer” di inglese, col pretesto di raccontarne il contenuto. In questa pseudo rottura di quarta parete però, lo confesso, non comprendo lo sgombero e poi il riordino di oggetti di scena che non hanno poi una funzione drammaturgica. Sorry, ma la pistola/fucile di Checov incombe in me. Un espediente metateatrale in realtà forse poco efficace alla mise en scène, tutta concentrata sulla storia di un drappello di “pischelli” di Ostia fortemente evocativi. Soprannomi, giochi di strada, sigarette, primi amori, tutto in fondo è già riconoscibilissimo, anche se forse non sempre la riconoscibilità dei personaggi regge davvero il ritmo dell’universalità.

Certamente Storie Bastarde è uno spettacolo che per i romani e ancor più per chi è cresciuto a Ostia, o come me ci ha trascorso buona parte delle proprie estati infantili, assume maggiormente i toni della nostalgia. Riconoscere i luoghi e le persone come il vecchio caffè Paglia e le sue “bombe” fritte tutt’oggi sganciate da un mini-dirigibile aereo, il pontile affollato di coppiette, i finesettimana al mare, i rientri sulla Colombo sono innegabilmente materia viva (anche da lacrimuccia) per Generazioni X e Millennials capitolini.
Magari non così per altri cresciuti in altre periferie, dove in fondo certi meccanismi si ripetono, ma non sempre nello stesso modo. Avaro spinge sulla battuta sarcastica, talvolta sui toni da stand-up non sempre riuscitissimi, come quando si scherza sui metri di chiappa oggi esposti al sole, ove un tempo evidentemente signorine “più morigerate” usavano mutandoni coprenti. Ma non è questa la sede per discutere di costumi smarcando l’eh-non-se-po-più-dì-niente!
Aldilà di tutto il narrato mi fa davvero tornare indietro nel tempo. Sul bus verso l’Olimpico coi panini nello zaino, le bandiere e i cori sugli spalti. Quando però sul finale si vira verso tinte più drammatiche, la mia personale empatia non si scopre del tutto. Mea culpa il non aver letto il testo originale, dovendo tuttavia esprimere un giudizio sull’adattamento, non posso che apprezzarne, soprattutto da romana, l’affresco generale. Mentirei se dicessi che non mi sono goduta alla grande certi racconti amarcord. Storie Bastarde è fatto come si deve, c’è una storia, una buona regia e un bravo attore. Solo questa tripletta, sì rada di questi cupi tempi teatrali, vale una visione. Bravi!