
Dopo la deludente prova di Elio Germano in Tom Pain, torniamo al Metastasio di Prato ad assistere alla prima nazionale dello spettacolo teatrale “Lo schifo. Omicidio non casuale di Ilaria Alpi nella nostra ventunesima regione”, andato in scena giovedì scorso 19 gennaio.
La pièce teatrale scritta e diretta da Stefano Massini e interpretata da Lucilla Morlacchi, con Luisa Cattaneo, ha ripercorso, attraverso rievocazioni post-mortem, il tragico omicidio del 1994 della giornalista del Tg 3 Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin per mano di un gruppo di guerriglieri a Mogadiscio in Somalia, paese dove la Alpi stava lavorando a un servizio televisivo su una compagnia somala, la Schifco, sospettata di traffico d’armi, che coinvolgeva politica somala e italiana, servizi segreti, imprese edili e trafficanti di rifiuti tossici. Ilaria Alpi aveva scoperto “lo schifo” del traffico internazionale di veleni, rifiuti tossici e radioattivi prodotti nei Paesi industrializzati e stivati nei Paesi poveri dell’Africa, in cambio di tangenti e armi scambiate coi gruppi politici locali. Quello che resta è un misterioso omicidio, ancora senza una soluzione, che molto probabilmente rimarrà irrisolto per sempre.
Sulla scena i ricordi di Ilaria vengono dipanati dalla voce esperta di Lucilla Morlacchi, che si staglia sotto una fredda luce bianca. Dietro di lei la silhouette di Luisa Cattaneo forgia pose plastiche rievocanti gli interlocutori del racconto di Ilaria.
La narrazione prosegue cadenzata dal susseguirsi di capitoli, quadri scenici dove l’unico cambiamento è dato dal fondale mobile, che mediante lo spostamento alternato in verticale di cinque pannelli, ricrea con linee nette l’ambientazione della storia.
Dopo l’efficace drammaturgia di “Donna non rieducabile” (recensione Fermata Spettacolo), memorandum sulla giornalista Anna Politkovskaja, la penna di Massini combina nuovamente un testo autentico ed essenziale, dove pennellate di ricordi riaffiorano dall’oscuro, plasmando un quadro asettico e onirico della vicenda.
Il lirismo del testo non viene altresì consolidato dalla regia dello stesso scrittore, che risulta in sostanza meccanica e ripetitiva. Dopo i primi due episodi, lo spettatore medio capisce il gioco scenico, fatto di battute in crescendo emotivo che terminano in una chiusa ad effetto, per poi riaprirsi in un altro quadro. Niente di nuovo sotto il sole, dunque. La staticità dei personaggi, soprattutto di Lucilla Morlacchi, non aiuta la scorrevolezza del testo e l’incombere della noia sugli spettatori. L’attrice tra l’altro non è era in grande serata, con problemi di voce che hanno condizionato la sua performance.
Le scelte delle musiche che richiamano i due territori (Italia e Somalia) risulta ordinaria ma producente, soprattutto grazie alle arie liriche tratte da “Rigoletto”, “Il barbiere di Siviglia” e “L’elisir d’amore”. Di grande effetto invece la già citata scenografia mobile di fondo, che ha permesso efficaci cambi scena mantenendo uno stile minimalista. Pregevoli e icastiche le luci, che tagliano la scena, suddividendola in due parti, fatte di chiari e di scuri.
Nel suo complesso il commento allo spettacolo è positivo, considerando l’impegno e la difficoltà del testo, ma soprattutto confrontandolo con quello che di questi tempi approda in teatro: come diceva un vecchio spot della Rai “di tutto di più”.
Uno spettacolo caratterizzato da luci e da ombre dunque, come la luce della verità inseguita da Ilaria Alpi, un piccolo lumino, che contro ogni ombra, deve rimanere acceso.