La gatta sul tetto che scotta di Tennessee Williams per la regia di Leonardo Lidi ha debuttato in anteprima nazionale il 29 aprile al Teatro Carignano di Torino. Lidi restituisce nuova vitalità a un testo composto nel 1955 che valse al grande drammaturgo statunitense il suo secondo Premio Pulitzer e conosciuto al grande pubblico per lo più nella sua versione cinematografica hoolywoodiana che tanto deluse Williams. Il regista torna su questo autore tanto amato, dopo lo Zoo di vetro del 2022, perché crede sia l’autore che più di tutti abbia saputo interpretare la società attraverso il microcosmo della famiglia, con le sue contraddizioni, i segreti, le bugie, le gabbie mentali dure a morire che si celano al suo interno. L’idea di riportare in scena quest’opera nella nuova traduzione di Monica Capuani nasce dalla volontà di rendere giustizia ad un testo troppe volte edulcorato e frainteso e per smascherare il mito della famiglia tradizionale e della donna che troverebbe nella maternità la sua massima realizzazione.
La storia racconta di una tipica famiglia arricchita del Sud degli Stati Uniti, i Pollitt, che si ritrova a festeggiare in un clima teso il compleanno del capo famiglia Big Daddy a cui è stata diagnosticata da poco una grave malattia di cui lui non è ancora al corrente. Il momento critico rivela il vero volto di ognuno, getta scompiglio nelle dinamiche relazionali tra i componenti della famiglia e tira fuori la polvere che era stata nascosta sotto il tappeto. Emerge l’avidità del figlio maggiore Gooper che insieme alla moglie Mae non vedono l’ora di mettere le mani sull’eredità di Big Daddy e la fragilità del minore Brick che porta avanti un matrimonio deludente e senza intimità con Margaret. E la storia ruota tutta intorno alla frustrazione di Maggie, quella gatta sul tetto che scotta che elemosina amore da un Brick distante e alcolizzato incapace di affrontare la sua vera sessualità.
Bravissima nei panni di Maggie Valentina Picello che con l’umorismo irresistibile con cui fa a pezzi la famiglia di Gooper nel monologo iniziale, definendo gli innumerevoli e ingombranti figli “mostri senza testa”, toglie ogni patetismo alla figura di Margaret. La sua ironia sferzante è ciò che la tiene in vita insieme all’istinto di sopravvivenza che la porta a manipolare gli altri per non “saltare giù dal tetto” e tornare alla miseria in cui è nata. Si rivolge ad un Brick, interpretato da un convincente Fausto Cabra, apatico e assente, perso nei suoi fantasmi, anzi nel fantasma del suo amico fraterno Skipper incarnato in scena dall’onnipresente Riccardo Micheletti. Nel testo originale Skipper è assente, è solo una presenza-assenza evocata, qui invece è in scena per tutto il tempo: attraversa la scena in mutande portando ininterrottamente le bottiglie di alcol con cui Brick cerca di anestetizzare il dolore della sua perdita. Le bottiglie via via riempiranno tutta la scena, per cui gli attori saranno costretti ad aggirarsi sul palco come in una cristalleria, esattamente come i componenti della famiglia, che sembrano muoversi in un campo minato. Ogni tanto Skipper entra in scena per trasportare uno specchio a figura intera con cui i personaggi saranno costretti a fare i conti, così come si fa con la verità.
Brick sembra recuperare un po’ di lucidità nel confronto con il padre, interpretato da uno strepitoso Nicola Pannelli, che vede nel figlio l’unico interlocutore autentico, che mal digerisce, come lui, l’ipocrisia che lo circonda. Ma s’inganna perché si trova davanti ad un Brick segnato dalla vita, monco così come la sua andatura claudicante sembra sottolineare, che implora di essere visto per come realmente è: uno sportivo fallito finito a fare il cronista alcolizzato per l’estinguersi del legame speciale con Skipper, che ha sempre generato ambiguità e pettegolezzi dentro e fuori dalla famiglia. Se Papà (il Big Daddy del testo originale) poco prima aveva rimesso tutti al suo posto con le sue uscite scurrili e il sarcasmo da bettola, soprattutto la moglie, nella brava Orietta Notari, che è il bersaglio prediletto, con Brick riesce a tirare fuori una inedita pazienza ed empatia che lo fan sembrare umano.
La meschinità e l’arrivismo sono ben impersonati da Giuliana Vigogna nei panni di Mae e Giordano Agrusta, Gooper il fratello di Brick, a completare il cast Greta Petronillo che incarna la pletora dei figli della coppia e in modo allegorico anche la figlia che Maggie non potrà avere e Nicolò Tomassini nei panni del reverendo.
Le quattro facce del palco sono ricoperte da bianche e fredde lastre di marmo che richiamano una lapide nell’immaginario di Lidi, visto che la morte aleggia in tutta la storia, e le statue greche: “C’è un passaggio del testo – spiega il regista – che poi ho tagliato, in cui Brick dice che lui e Skipper erano come due divinità greche.”
Le scene e le luci sono di Nicolas Bovey, i costumi di Aurora Damanti, il suono di Claudio Tortorici.
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e dal Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, resterà in scena a Torino fino a domenica 11 maggio 2025 e successivamente sarà in tournée al Teatro Mercadante di Napoli (13 – 18 maggio 2025) e al Teatro Vascello di Roma (20 – 25 maggio 2025).